I capanni dell'amor

Sul finire dell'anno, freddo com'era, Alain Resnais s'è rifugiato in sala Valéry, penetrandovi da ignoti canali televisivi. All'una e mezza. Come la protagonista, decidiamo, solo ed anche questa volta, di sfilarla ed assaporarla, questa pellicola del 1993. "Smoking" (t.o. "Smoking"), tratto da "Smoking / No Smoking". Come su quei cartelli "No smoking", o quegli altri "Smoking". Che poi debbo ancora capire cosa ho visto (in Italia non l'avranno mica compresso? Pare di sì, allora, giusto "Smoking", mutilato e rivendicativo: prendere nota della distribuzione italiana d'essai). Insomma, cosa può fare una sliding cigarette, un sì-no, un binario che porta di qui, e/o di là, un binario che decide algoritmi misteriosi, vitali.

Ti con Sex

Qualche giorno fa, pioggia pioggia, allerte allerte, altrofilm. In casa. "Sessomatto", (1977) di Dino Risi, è proprio quello che...per una serata tranquilla. Quando le si vuole dare una sferzata piccante. Causa Laura Antonelli, meglio aprire le finestre. Tranzilli, pensanti per bene: schivando là, addomesticando qui, la volgarità sta buona ("sciocchino, è un Dino Visi..."). Ma non la foja popolara, la prurigine caciarona, il rammarico sconcio, il rimpianto sugoso: ohé sono arrivati gli artisti, i baracconi dell'amooore!

Tempi di tappezzerie

Periodo di bassa avvilente, nei cinema. Verrebbe da dire Allerta Rossa ("Non entrate nelle sale!"). Meglio così: meno gliene date, alla sala Valéry, più se ne prende. Altro Woody Allen, allora, ché a Elena piace e a me...pure. Con l'allora sessantacinquenne vecchietto newyorkese come interprete, "La maledizione dello scorpione di giada" (2001) è uno spumeggiante intreccio tip tap che, tra poli, amori, opposti e odi, scivola sulla pista ben oleata dell'autore. Con molta leggerezza. Più che un soffio, uno spiffero (mai fastidioso).

Angusto Show

Ancua "Valéry". Nell'anno di Billie Holiday (scomparsa 60 anni fa), la sala del Cinerofum non ha potuto altro che aprirsi al trascinante ritmo, in bianco e nero, del magico sound d'oltreoceano. E se pronunci, in qualunque maniera, la parola Jazz, sullo schermo appare senza dubbio l'elegante, brioso, ironico, sinuoso e scatenato cinema di Woody Allen. "Celebrity", del 1998, è un viaggio caotico (nevrotico, logorroico) ed orgasmico nel mondo dello show-biz. Tra pietà ed affetto, bellezze magnetiche a sopperire a una dialettica alquanto glamour e...vuota, lo sterile ma profittevole bailamme cui tutti i qualunque paiono aspirare.

I frappè dei vicini

Per dirne un'altra, la seconda, venerdì scorso è ri-passato dalla "Valéry" Roman Polański. Ancora il suo ultimo nelle sale pubbliche, per noi inavvicinabile al "Corallo", Elena ed io abbiamo riparato a mancanza piuttosto grave per sedicenti "amici del cine". "Rosemary's Baby", del 1968, è un thriller psicologico ma nemmeno tanto. Poiché la bestia è reale, come la brama di successo che pervade la comunità.

"I soldi, ancora voi..."

Saranno le temperature, invero abbassatesi come da inclinazione terrestre, ma la "Valéry" si sta prodigando in un vero guizzo di fine anno. Per dirne una, la prima, giovedì scorso è stata la volta de "La bambolona" (1968) diretta da Franco Giraldi. Autore nato nel 1931, nell'allora italiana Comeno, dopo aver fatto sapiente gavetta (con assistenze di livello), si cimentò con buoni risultati nel campo delle commedie. Come in questo caso, dove, sotto le vesti (...) di una commedia piattamente (men che mai) "fisica", così legata a triplo filo alle doppie curve della prorompente protagonista, si cela invece una graffiante satira sulla società maschilista che sempre vedrà la donna, non può altrimenti, come prelibatezza in bancone, a portata di moneta. Dall'omonimo romanzo della romana Alba de Céspedes (1911-1997).

Stato di Corpifuoco

Altro tassello nel muro di Pablo Larraín. Di più: segnalatomi anni fa dal Puvio, il secondometraggio (?) del regista cileno balza al mio primo posto. Realizzato nel 2008, "Tony Manero" è un gran film, sporco, doloroso, maturo. A ricordare i recenti duri e fieri giorni di lotta in Cile, la solita tra oppressi ed oppressori, può essere utile per noi italiani ricordare ciò che laggiù ancora non possono dimenticare. Non sia mai che qualcuno si svegli (male che vada finisce tutto in brillantina).

Beviamoci tu

Alle solite: "Debolino". "Eccezionale". "Così, così". "Grandissimo". "Sempre lo stesso": in senso positivo o no. La verità è che dall'alto della sua maestria ed esperienza maneggia il mezzo cinematografico ad occhi chiusi: quasi fastidioso, Woody Allen. "Un giorno di pioggia a New York" scorre senza intoppi su di un'altra meravigliosa girandola vitale. Quindi il solito, proprio vero, sei tu, Woody.

Politic

In sala Valéry, questa volta per puro caso, è passato a trovarci il sudcoreano Bong Joon-Ho, ancora colla sua frangetta in testa e palma dorata in mano. Presentato dalla Showbox, il tizio fa il mirabolante, riuscendovi. Fantasatira grezza, emendata appena premiata, ha dalla sua il monster-appeal per tutti, la critical-social per chi non è un robot. Sintetizzate nei ruoli, le asperità di una comunità ormai persa. Divertente contro il dente, "The Host".

Vive Fabienne!

06.11.2019. Nella serata in cui i telegiornali annunciano Catherine Deneuve "ricoverata per una leggera ischemia", Elena ed io ci precipitiamo. Potrebbe essere l'ultima volta. O l'ultimo (non si sa sempre). Scelta felice poiché "Le verità" (t.o. al singulier), ultimo lavoro di Hirokazu Kore'eda, mostra il maturo connubio tra la sensibilità dell'autore nipponico e quella degli interpreti francesi. Tra i quali, inutile dirlo (o no?) la già citata regina spicca, dando corpo ad un personaggio, quasi autobiografico, pregno di vita universelle.

Esplodi pecora

Chef Baraka suggests...e i due golosi in sala Valéry assaggiano. "Four lions" arriva via collegamento (è disponibile sul sito RAI): è a portata di mouse. Pellicola inglese del 2010, scritta e diretta dal regista Chris Morris (celebre provocatore televisivo), a 5 anni dall'attentato alla Maratona di Londra, esplora con coraggiosa ironia il terrorismo islamico, quello sgangherato quanto sentito, illusorio quanto mortale.

Fumetti di testa

Era settembre quando Alain Resnais ritornò in sala Valéry a trovarmi. Si presentò portando con sé il suo dodicesimo lavoro, un divertissement datato 1989 e intitolato "Voglio tornare a casa!". Le vicissitudini di un fumettista americano, caricatura di se stesso, alle prese con figlia e...Francia. Tra incursioni animate, simpatiche finché dura, questa commedia scorre su stereotipi e citazioni, cavalcando gli ottimi interpreti e divertendo con brio e senza banalità.

Buon odor mente

Ambizioso, ironico. Patinato, sporco. Potente, divertente. L'ultima "Palma d'oro", la prima sudcoreana, non è l'indimenticabile per occhi o spirito, ma intrattiene con brio. Una spietata allegoria sulla vuota società del consumo e dell'apparenza (ancora una volta il dito, se qualcuno non se ne fosse accorto, è puntato su di noi). "Parasite", ultimo lavoro di Bong Joon-ho, racconta di esistenze nocive per chi le accoglie e domanda: quali lo sono davvero? La risposta nel conto corrente di chi la dà.

Dio innaturale

Rimasto solo, lo sapete, fuggo in sala. Giorni fa, mi sono imbattuto nell'ultimo lavoro di François Ozon. Scottato dai suoi recenti, ho più di un timore, soprattutto per soggetto e trailer. "Grazie a dio", però, questo film si discosta dalla sua opera. Buono così. Anche perché se di bello c'è ben poco, va riconosciuto all'autore francese di intavolare (quasi letteralmente) il discorso scabroso, degli abusi sessuali di preti su minori, evitando semplicismi e retoriche, curandosi di dar fiato alle diverse voci, emozioni e reazioni, dei protagonisti.

Nuovi agguati

Due giorni fa in solitaria processione in vico dei Fratelli Dardenne. Sì esiste, da queste parti, un intero circondario nominato e popolato dalla macchina dei sogni. "L'età giovane" (t.o. "Le jeune Ahmed") è l'ultimo sguardo degli autori belgi sugli eterni problemi adolescenziali in questa società, declinati nel qui e oggi, dove ad armarsi per un Dio paiono essere i musulmani. Meno intenso dei loro ultimi, va a sondare però un terreno minato in cui la loro sensibilità, come poche altre, evita il disastro.

Thor non è diverso

Nella sala Valéry regna il silenzio...ma dalla "Marine" giungono echi di schermo e fumi di pigiami. Mi trascino colla stanchezza dei "Sìcubas" addosso e, tra cuscini sdraiati, mi ritrovo negli anni '80, '87 per la precisione, quando i film per ragazzi erano avventure oltre il pomeriggio. Diretto da Chris Columbus, statunitense classe 1958, quello dei "Mamma" e dei "Potter", qui al suo esordio, "Tutto quella notte" (t.o. "Adventures in babysitting") mi sfuggì nell'età prescritta, ma è stato bello provare l'emozione di riprovarle, ancor di più se assieme a Charlie, Cry, Ele e Maurice.

Né lardo né zampa

In questa festa delle zucche, altre nove parole per un film che, lungi dall'essere un incubo, s'è rivelato una rassicurante pietanza, calda, invernale. Non bollente. Tantomeno distruttrice (come potrebbe una pietanza, benché salutare e feconda?). Invero, a parte il finalissimo apparentemente riabilitante (un po' tutti), "Le nostre battaglie", pellicola di Guillaume Senez, bruxellese classe 1978, offre un quadro piuttosto autentico della logica di sfruttamento gli uni sugli altri ed alienazione che la società economica (capitalistica) ­impone ai suoi sudditi. E della desolante inerzia che bracca qualsiasi rivolta individuale, prima che di classe.

Corpo di rabbia

L'ultimo film del regista della fortunata e sballata serie delle notti da leoni, il newyorkese classe 1970 Todd Phillips, gli ha consegnato l'ultimo "Leone D'Oro". Avendolo visto, "Joker", si può capirne le ragioni. Pennellata sporca della mente, reazione allucinata che tutto travolge. Un'interpretazione che avanza concentrata. Rotor di rabbia. Forse non è necessario subirne tante per arrabbiarsi. Pur vero, che di fumetto si tratta.

Piccoli travolti

E' anche vero che due parole su "Burning" (sott. "L'amore brucia"), film sudcoreano del 2018 presentato al "Cannes" dello stesso anno e uscito il mese scorso nelle sale italiane, debbono essere spese. Disintegrato con parole allarmanti dal nostro Mino, ho voluto toccar con occhio, trascinando con me Marigrade ed Elena. Felice di averlo fatto. Poiché, senza aver toccato alcun apice, la regia di Lee Chang-dong, regista e già ministro per la cultura nel 2003, mostra però una certa cura e spregiudicatezza, per un dramma esistenziale attualissimo, ben narrato sui piani visivo e psicologico.

Utopia interrupta

Dopa la recente lettura suggerita dalla stessa Elena, riguardante pensieri e dichiarazioni dell'ex presidente uruguayano, non è stato difficile "imbarcarla" verso la microsala Filmclub del "Sivori". In cima a salita Santa Caterina, infatti, è in programmazione "Pepe Mujica - Una vita suprema", documentario realizzato da Emir Kusturica nel 2018 e presentato al "Venezia" dello stesso anno. Attraverso i dolci occhi del protagonista, tra stelle illusorie e pietre concrete, i sogni di quest'uomo, di un paese, di una generazione.

Grosso racket

Ma sì, già che ci siamo. Perché non scrivere due byte su "Atlas", il primo film in cui mi sono imbattuto al FNCE, quest'anno in programma al parrocchiale, con offesa, "Nickelodeon". Concorrente tedesco, di quella terra ha il tono duro, tosto, il grugno di una società violenta che bracca e sgombera. Sorretto da un protagonista possente, gigante buono d'asfalto, intrattiene con una sceneggiatura convincente, maturamente intimista prima, briosamente thrilling dopo. Buon esordio di David Nawrath, berlinese classe 1980 di origine iraniane.

L'amour peut

Doveroso calar subito gli entusiasmi del film visto ieri pomeriggio al buffo "Nickelodeon", dov'è in corso il Festival del Nuovo Cinema Europeo. Per correggere il tiro sulla qualità dell'offerta, non dell'organizzazione. Se il precedente film spagnolo stimola la domanda se davvero in continente non si trovasse di meglio, questa pellicola francese sarà una di quelle da ricordare e consigliare. "Luna" (2017), pellicola d'esordio della strasburghese classe 1982 Elsa Diringer, parte in sordina, sporca, per dimostrare forza e purezza col passare dei frame.

Cositas in NY

Ma partiamo un po' dal secondo film da me visto, l'altroieri pomeriggio, all'interno del roboante quanto sgangherato Festival del Nuovo Cinema Europeo (FNCE!...prrr). Per la Spagna partecipa "Try", film del 2018 di Angel Haro, valenciano classe 1958 (quien sabe). Le comiche tecniche iniziali non riescono a rendere simpatiche le immagini dell'incipit, che annunciano impostazione e leggerezza della pellicola. Su tutto, una qualità d'immagine scadente e raffazzonata, peggiorata se possibile dalle elementari geometrie dell'autore spagnolo che, nato pittore-disegnatore, spero lo rimanga.

Pummarolen

Incredibile. Uno sguardo alla programmazione delle sale e colgo una proposta inusuale per le genovesi. Retrospettiva di un giorno, dedicata all'autore del recente killer stralunato di St. Pauli, una pellicola del 2002 da rispolverare. Con Elena, pronti. L'incredulità si fa più dolce al momento di sentire il prezzo della serata: gratis. Tocca ringraziare, quindi, il Goethe Institut per questa visione di "Solino", terza pellicola del Fatih Akin. Anche perché il film, non certo eccelso, ha una sua genuinità (discorso impronunciabile se riferito a "Va bene?!", disegno animato introduttivo a firma di Bozzetto, pregno di stereotipia).

Ragioni di stato. Di classe

Primo appuntamento della rassegna "Le lotte", organizzata dall'Autistica Cineteca Angelo Ballostro. Domenica scorsa in piazzetta della Stampa abbiamo assistito in una trentina all'ultimo film di Mike Leigh. "Peterloo", del 2018, divide. Appurata la necessaria testimonianza di un fatto storico, criminale quanto consueto, accaduto 200 anni or sono (massacro di Manchester, 16 agosto 1819); resta da capire quanto la ricostruzione del regista di Salford sia "bella" da vedere e da ascoltare: un buon film?

Bauntilò!

La settimana del nono film di Quentin Tarantino ci ha condotti al "Sivori". Fedelissimi del cinema popolare, non ci pieghiamo a vezzi e tributi del regista tennesseano, rifuggiamo le sale dai 10€ in su, con buona pace della super-tecnica sprecata. Più fattibile che mai, tra l'altro, essendo alle prese col meno pirotecnico ed al contempo col più estetico, e compassato film dell'autore. "C'era una volta a...Hollywood" è memoria dei tempi e del luogo, danzante sui piccoli o celebri casi del quotidiano.

Sogni interrotti

Mi aggancio all'ultima chiacchierata inerente le sceneggiatura. Il film visto ieri pomeriggio, Elena, Marigrade ed io al "City", ha dalla sua quasi tutto, regia, fotografia, interpretazioni, soggetto, tranne la sceneggiatura. Di certo non il finale. "La vita invisibile di Euridice Gusmao", del regista brasiliano classe 1966 Karim Aïnouz, in effetti getta alle ortiche un buon lavoro solo sul finire. Quando il romanzo da cui è tratto ha la "meglio" sull'arte del director. Non che gliene interessi granché, forte del suo premio di un certo riguardo all'ultimo "Cannes".

Graziosa mansarda disponibile

Qualche settimana fa è stata la volta di un mostro. Ancora da terra tedesca volti espressionistici per raccontare un'atmosfera mefistofelica dove la frustrazione colpisce a sangue e smembra corpi. "Il mostro di St. Pauli", scritto e diretto dal tedesco Fatih Akin, quello della sposa turca, ha deluso qualcuno per la presunta mancanza di "scrittura dorsale". Ma gli efferati eventi si succedono e, lungi da essere sufficienti, si tirano appresso i versi in rima di un decadimento sociale, prima, ed individuale, a cascata. In uno stillicidio di crolli esistenziali e morali, bello a vedersi.

Le capre mangiano lumache

Sabato scorso è stata la volta di un documentario del 2018 che al limite del criminale, sguazza nel superficiale. "La fattoria dei nostri sogni", dei coniugi californiani John e Molly Chester, si fa rappresentante dello sterile e vile ecologismo 2.0, tanto di moda di questi ultimi anni. Quello che si rivolge a Investitori e Internet, come se non rappresentassero la causa prima, capitalista e consumista, dello sfacelo ambientale ed individuale in cui siamo piombati. Il ritorno in campagna è così retorico da scoprire con visibilio e sgomento che, oltre le capre ghiotte di lumache, pure che i cani da guardia possono sia scacciare coyote, sia sbranare galline! Wow...

"...non si scorda mai"

Rieccoci! Sala Porty Hostel, Port Antonio, Jamaica, again on the stage! Il film suggerito da Depa è di quelli chiaramente appetitosi per le fauci purtoppo non più così voraci di questo cinefilo. Un Dino Risi del 1978 con protagonista Ugo Tognazzi dal titolo “Primo Amore”. Film decisamente piacevole, soprattutto nella sua seconda parte e con un finale lieto e saggio. Buono.

Un altro sorso di Resnais

Finito di ri-vedere, in Sala Valéry, "Providence". Alain Resnais è uno di quei pochi registi, per il sottoscritto, per cui due volte è meglio che una. Uno, per dipanare l'intricato incantesimo cinematografico; due, per godere ancora una volta della musica per immagini che, di certo, percorrerà lo schermo. Pellicola del 1977, con una manciata di grandi interpreti, è un'altra perla letteraria e visiva dell'autore francese.

Vendette di Stato

Altro Steven Spielberg, in sala Valéry. Complice "Iris" o canali simili, quasi sempre ad offrir cinema decente. Stavolta la serata è stata ancora più completa, con documentario prima e film dopo. Il fatto: durante le olimpiadi del 1972 a Monaco, il 5 settembre, un gruppo armato palestinese, legato all'organizzazione Settembre Nero, sequestra ed uccide 11 atleti israeliani. Da qui la vendetta del Mossad, alla chetichella come ogni servizio segreto che si rispetti, in giro per l'Europa. "Munich", del 2005, al di là della materia trattata (il soggetto rielabora un libro inchiesta): pessima scrittura, recitazione grezza, accozzaglia hollywoodiana davanti alla quale è una fatica arrivare in fondo alle quasi 3 ore. Strano per un maestro dell'entertainment.

Natura viva in cornice dorata

Agosto di letture, il cinema scivola, il Cinerofum crolla. Proviamo a tapullare quest'estate di ben poca pellicola. Nei pressi del ferragosto, classico televisivo, fu trasmesso "Lo squalo" di Steven Spielberg. Del 1975, terzo lungometraggio del regista, uno dei film più celebri di sempre, grazie all'accattivante veste d'avventurosa lotta per la vita, all'ottimo ritmo, senza note inutili, ai personaggi ottimamente caratterizzati e al marketing azzeccato. Volet o nolet, la storia del cinema.

Oltre una frontiera nessuna civiltà

Fine luglio di commedia italiana. Mezz'estate da "100 da salvare". Un altro milanese, questa volta classe 1922, sondò con acume e delicatezza gli intimi gorghi ed abissi degli italiani del post boom, disillusi, frustrati, tenaci come ogni uomo. "Pane e cioccolata" (1974), quinto film di Franco Brusati, scomparso nel 1993, narra d'un italiano emigrato in Svizzera. Per lavoro, e qualcos'altro. Non v'è altra strada se non stai al gioco (e non sei giocatore di classe).
Visto in Sala Valéry in omaggio ai ragazzi del Laboratorio Bellamy, che propongono cinema nei caruggi di Zena.

Svizzero? No, è Stato

La settimana scorsa, nella Sala-che-sapete, è tornato Marco Ferreri (1928-1997), il regista milanese che inzaccherò senza indugio il palcoscenico di una società borghese luminosa e famelica quanto vuota e brancolante. "L'udienza", del 1971, oltre a ciò, è un piccolo gioiello di delicatezza, ode ai tanti piccoli uomini dinanzi ad assurdi giganti. Lo sgomento del protagonista, Enzo Jannacci calzante nella sua mimica unica, al cospetto di una Chiesa che pare ben comprendere e condividere i mezzi dello Stato: burocrazia alienante, retorica ammaliante e repressione braccante.

...portano a Tebe

Dopo l'interruzione causata dalla notte passata nell'attico dei Mignoidi (uscir d'ufficio e manco dover tornare a casa...e che ombrina! Grazie), ligio alle responsabilità verso la Sala Valéry, l'ho raggiunta con un altro Pier Paolo Pasolini in mano. "Edipo Re" trasposizione della tragedia sofoclea, scritta e diretta nel 1967, perlustra l'elementare senso di colpa che ogni individuo porta con sé. Ancor più in società capitalistiche. A fortiori tra gli affamati. Quindi sì, inevitabili riferimenti autobiografici. Universali.

Giustizia nei cieli

La Santa Sala (Valéry), ieri sera, ha sparso sacre parole su me e il mio divano. Verba per una sincera adesione a dio, scevra di vanità, per un'autentica redenzione, priva di opportunismo. "Il Vangelo secondo Matteo", scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini nel 1964, fedele al testo omonimo, ribadisce l'affascinante idea di un Gesù Cristo umile tra gli umili. Peccato che i postumi suoi rappresentanti e delegati, da veri "scribi e farisei ipocriti", abbiano lavorato per millenni in senso opposto; poiché, vedendo questa solenne rappresentazione di un figlio di dio coerente e rabbioso, interpretato da un sindacalista antifranchista, stavo quasi per credere. Ad ogni modo, mise-en-scène di grand'effetto, tra volti caricati e sinfonie glorificanti. Da vedere.

"Lettera affettuosa di scherno..."

E basterebbe la panoramica iniziale, sulla spiaggia punteggiata da brandelli di giornale e carcasse di barche. Ma no, complici la scrittura magica che permette di seguire tutti i balzi ed i cinguettii della sognante protagonista ed una regia sensibile che la scruterà con delicatezza, da una sequenza indimenticabile si passerà ad un'altra ch'è un gioiello. "Io la conoscevo bene", scritta e diretta nel 1965 da Antonio Pietrangeli, è una pellicola di rara intensità sulla solitudine femminile, intrinseca alla società del consumo e dello spettacolo.

Vite bugiarde

La millecinquecentesima è stata d'argento. Prosegue l'andamento positivo nelle "nostre" sale: Elena pare fidarsi maggiormente del grande schermo e del proprio giudizio. Inoltre, memori delle positive impressioni sul precedente lavoro di Pablo Trapero: con nonchalance verso l'"Ariston". "Il segreto di una famiglia" (2018, t.o. "La Quietud") è ancora meglio del precedente; una discesa agli inferi delle nostre menzogne ed ipocrisie. Società ed individuo s'accusano reciprocamente, di chi la colpa di tanto obbrobrio?

Maschere di sé

Come promesso, caro Cinerofum, non perdo tempo e corro appresso al gabbiano di celluloide. Difatti, qualche lunedì fa, ho acchiappato il penultimo lavoro di Xavier Dolan: "La mia vita con John F. Donovan" (2018). Più gioia che cruccio per il sottoscritto, non comprendo appieno le critiche mosse al trentenne regista canadese per questa pellicola che, per contenuti e forme, è una sorta di suo manifesto. Cinema pop ricercato, veste patinata per assordanti crescendo emotivi: anche stavolta fedele alla sua poetica. Prova di grande efficacia, con attori pronti a questa logorante spedizione nell'intimo dei loro personaggi.

United States of Reality

Innanzitutto scusa Cinerofum. Giugno vergognoso, cercheremo di rialzare la testa, ché il cinema ha pazienza, ma non celluloide infinita. Debbo ancora parlare di un documentario visto, in due serate da due ore, con Elena in sala Valéry: "Quando si ruppero gli argini" (s.t. "Requiem in quattro atti"), scritto e diretto da Spike Lee nel 2006, un anno dopo che l'uragano Katrina travolse gli Stati Uniti affacciati sul Golfo del Messico, è un grido di rabbia la cui eco non dovrebbe esaurirsi.

Mica facile

Una ventina di giorni fa, altra dumenega scombinata. Di ritorno da Città di Castello (auguri Rouch e Giulia!), Elena prova a raddrizzarla con un cinema. Alla lunga ha capito che un film può risolvere tutto. Non solo, ha pure capito dove rivolgersi. La seguo fiducioso, quasi più di lei, verso la minuscola "Film club", dove una pellicola svizzera annuncia adolescenti in crisi. "Blue my mind", scritta e diretta nel 2017 da Lisa Brühlmann, zurighese classe 1981, è anche qualcosa di più. Storia originale e coraggiosa, convoca tutto il potenziale del surreale per rappresentare l'intrinseca inadeguatezza ed il senso d'orrore che accompagna la pubertà.

Dependencia de retorica

Sabato scorso, un po' scomposto, mi sono diretto solo soletto verso l'"Ariston". Dopo un siparietto incommentabile con una signora molto più scomposta di me (ride e ride), entro in sala dove mi attende l'ultima opera di Pedro Almodóvar: "Dolor y gloria", mellifluo quanto melenso, è un'astuta carrellata della memoria che, nelle pretese del regista dovrebbe consacrarlo tra i grandi. Ahimé, come suoi illustri colleghi, lo schianto sulla vetrina allestita è fragoroso, perché una centrifuga glamour, con zenzero, ricordo e passione, non è sufficiente.

Lo stato uccide ogni giorno

Le sale cinematografiche non esplodono di titoloni. Ma Elena vuole uscire a tutti i costi. Quindi, anche in vista di una chiacchiera col prof. Sini, che di questa opera ha apprezzato l'affresco sociopolitico, ieri è stata la volta del "Sivori", con un film italiano: "Il traditore", ultimo lavoro di Marco Bellocchio, narra della redenzione giudiziaria di Tommaso Buscetta (1928 - 2000), membro di Cosa Nostra ai tempi del cozzo tra vecchia mafia palermitana e giovani leve corleonesi. Ricostruzione di due ore e mezza che scorrono veloci, più che per la bellezza delle immagini, per la rilevanza della vicenda negli sporchi e frequenti intrecci tra Stato e Mafia. Come fossero cose distinte.

Diablo rubio

Prima che finisse questo maggio gelido, avrei voluto scrivere ancora tre lettere sul bizzarro film argentino visto giovedì scorso. Film psicopatico. Come il suo protagonista, quel Robledo Puch (Buenos Aires 1952), passato alle cronache come l'"Angelo della morte", tanto ben tracciato in volto, quanto mal conciato in testa. Il soggetto si presta, il regista bonairense classe 1980 Luis Ortega non lo spreca. "L'angelo del crimine", del 2018, colpisce forte quando c'è un cranio da bucare, si fa più placido, senza perdere d'efficacia, quando s'addentra nella contorta intimità e complessa sessualità del giovane biondo, interpretato efficacemente dal rapper argentino, classe 1998, Kiddo Toto.

Clinica di classe

Dopo aver bazzicato le sale cinematografiche di un inverno-primavera tutto sommato fruttifero di pellicole degne, è giunto per il 'Rofum il momento di mettersi gli occhiali, prendere penna e studiare. La sala Valéry è la migliore compagna di studio della Liguria, per cui è a lei che, una decina di giorni or sono, ho consegnato "L'anno scorso a Marienbad". Secondo lungometraggio di Alain Resnais, viene citato come uno dei film più pesanti (e pensati) della storia della "Settima". Lo faccio pure io, riconoscendovi la potenza creativa, la rivoluzione espressiva e la sensibilità cinematografica dell'acclamato autore bretone, scomparso nel 2014. Leone d'oro 1961.

Niente ravioli al vapore

Qualche settimana fa nelle sale comparve un film cinese del 2018, "I figli del fiume giallo". Dalla locandina ammiccante, coi colori e sguardi alla "Pulp", mi aspettavo il classico sulla Triade, ed invece sarà una panoramica sociale rosanera sulla Cina che è. Scritta e diretta da Jia Zhangke, l'ambiziosa pellicola, non esente da scuciture, mostra il coraggio dell'autore di sondare un cinema diverso: che pur nei canoni dei film di malavita, racconti una Cina più vera.

Su e giù e ritorno

Jacques Audiard era al cinema, fino alla settimana scorsa. Il Cinerofum s'è quindi arrampicato sino alla spaziosa Sala 1 del "Sivori", memore dell'ultimo coinvolgente e scattante lavoro del regista parigino. Ha fatto bene: "I fratelli Sisters", Leone d'argento a Venezia 2018, mostra un'altra opera compatta, attenta, la cui appagante scrittura necessitava solo di due ottimi interpreti, come in questo caso. Davanti a questi schermi, si sta bene.

Road to Stereotypy

Se Elena ed io abbiamo atteso tanto un motivo c'era (oltre al boicottaggio del vorace "Corallo", che se l'è tenuto in pancia per mesi). La ragione è che da un film hollywoodiano diretto dal primo scemo più scemo che passa, per di più trionfatore agli Oscar, non ci si può aspettare che giunga nulla più che da "Green book" (2018): distillato di retorica a 99°, brucia occhi e spirito, condannandoti ad una striscia di stereotipi, che poi è la stessa offerta da qualunque mass-media. Diretto da Peter Farrelly. Amen.

Sempre deliri laggiù


Lunedì scorso mi son diretto verso un palestinese. Un film, intendo. Da quella terra martoriata giungono quasi sempre gemme estratte dal dolore o, come in questo caso, da un'ironia che possa anestetizzare, senza ottenebrare l'intelletto (anzi). "Tutti pazzi a Tel Aviv" (t.o. "Tel Aviv on fire"), diretto nel 2018 dal regista palestinese classe 1975, Sameh Zoabi, sceglie quest'ultima strada, danzandovi senza inciampi, ribadendo financo la distanza abissale che può separa gli individui dai poteri (quando non estraggono le armi, o i portafogli). Il quadro non è edificante, ma è doveroso sostarvi dinanzi un attimo in più.