Né lardo né zampa

In questa festa delle zucche, altre nove parole per un film che, lungi dall'essere un incubo, s'è rivelato una rassicurante pietanza, calda, invernale. Non bollente. Tantomeno distruttrice (come potrebbe una pietanza, benché salutare e feconda?). Invero, a parte il finalissimo apparentemente riabilitante (un po' tutti), "Le nostre battaglie", pellicola di Guillaume Senez, bruxellese classe 1978, offre un quadro piuttosto autentico della logica di sfruttamento gli uni sugli altri ed alienazione che la società economica (capitalistica) ­impone ai suoi sudditi. E della desolante inerzia che bracca qualsiasi rivolta individuale, prima che di classe.

Canovaccio sociale che ormai si propaga di potenza nelle ultime sale cinematografiche. Già il titolo ne richiama recenti e degni precursori. I francofoni paiono avere occhio più attento ai fuochi che brillano, poi si spengono. Marigrade, Elena ed io osserviamo con occhio critico, consci che la materia non è per nulla per tutti i cinema. Non per l'entertainment, diciamo (sigh). Ma la pellicola fa il suo lavoro, posizionando sullo schermo, né più né meno, gli attori che s'aggirano nei grandi fortini delle società del consumo. Giganteschi magazzini, infiniti capannoni, la logistica deve far correre la merce, con le persone in mezzo. Le lotte fratricide allestite da freddi soldati del capitale, ignari di tutto tranne potere, autorità e conto in banca.
La pellicola scorre con la regia pulita del bruxellese, sceneggiatura frizzante che permette qualche domanda e attori a proprio agio. Piccoli comportamenti d'ogni giorno riflessi con sufficiente accuratezza. Come detto, l'unica forzatura, non vi son lacrime da versare, ma barricate da innalzare, è quella della purificatrice rinuncia al quei tre elementi capitali di cui sopra, oltre ai quali non arriva più l'immaginazione. La realtà è ben peggiore. Altrimenti di battaglie, quelle di ciascunotutti, non ce ne sarebbe bisogno.
(depa)

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