Visione XXXXV:
Ueila Cinero', mi accingo a raccontarvi le emozioni provate ieri sera in sala Uander. Solo i soliti tre amigos presenti: Io, Elena ed Il Tigre. Peccato. Perché il film di cui stiamo per parlare è una struggente poesia, un cinema che ti s'insinua nelle viscere e fa dubitare di sé. "Au hasard Balthazar", del francese Robert Bresson, 1966.
Ueila Cinero', mi accingo a raccontarvi le emozioni provate ieri sera in sala Uander. Solo i soliti tre amigos presenti: Io, Elena ed Il Tigre. Peccato. Perché il film di cui stiamo per parlare è una struggente poesia, un cinema che ti s'insinua nelle viscere e fa dubitare di sé. "Au hasard Balthazar", del francese Robert Bresson, 1966.
Difficile capire da dove partire, tanto è spiazzante questa pellicola che circonda emotivamente lo spettatore per poi lasciarlo solo, svuotato ed allibito.
Il dolcissimo Balthazar, a mo' di guida spirtuale, ci conduce per mano a conoscere tutte le brutalità della specia umana. Ah, Balthazar è un asino. Sì. Intendo dire che si tratta proprio di un ciuco. Ma è anche uno dei più grandi attori di tutti i tempi. Facile provare tenerezza e grande simpatia (qui l'etimologia greca della parola ci viene incontro correndo a braccia aperte) per la povera bestia dagli occhi più espressivi del mondo. Ma ci vuole l'abilità del minimalista regista francese per confezionare un film perfetto per estetica e profondità. Sa fare quello che vuole, Bresson. Sa rappresentare la staticità di una vita (quella di tutti) che non ammette sterzate; l'inerzia di chi percepisce la propria malvagità, o quella degli altri, e non si azzarda a cambiare; sa anche rendere la continua instabilità della natura umana, la quale, forse proprio per reazione a quell'ineluttabilità (di cui si è detto) del corso intrapreso, permea la propria esistenza di una continua insofferenza, uno scalpitare, un girovagare che tende sempre ad una condizione che ritiene migliore.
Cinema particolare, quello del maestro di Bromont-Lamothe, fatto di parole non pronunciate ma intuite, di lenti primi piani che si posano sugli stati d'animo; a sottolineare l'importanza delle ripercussioni dei fatti sul cuore delle persone (se ce l'hanno...), prima ancora dei fatti in sé; ce l'ha fatta, Bresson, a vendicare il buon Balthazar insinuando nello spettatore un po' di mal di vivere.
La mia scena preferita è quella in cui il carretto, trainato da Balthazar, finisce fuori strada; il contrasto tra le immagini precedenti lo schianto e quelle successive (l'asino che spunta dal fieno tutto sparso), tra la velocità inarrestabile che sa di cupo presagio e l'immobilità del "dopo la tempesta", del fatto compiuto, è resa con un'efficacia che rimane impressa.
Obbligatorio venire a conoscenza della storia di Balthazar e di come Robert Bresson sia stato in grado di raccontarla.
Eccezionale.
(depa)
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