Arpeggio per vani caduti

Il terzo DVD dalla Marigrade's collection è della "General Video", che ripropone i grandi classici del cinema internazionale. Come "L'arpa birmana", Leone di Bronzo nel 1956, diretto dal regista giapponese Kon Itchikawa (1915-2008). Un nome da "Bibbia", o da "Foglio", tanto per. Da una novella post-bellica del 1950, celluloide religiosamente pacifista ("Antimilitarista" urterebbe lo spirituale autore) su elaborazione del lutto (dello sconfitto).

Algebra militare

Il disco rigido che muore, la TV che ripara, proponendo quel "Il diritto di uccidere" (t.o. "Eye in the sky", 2015) che Frd anticipò smaniante sulle nefandezze di scienze e tecnologia in campo bellico. La pellicola del sudafricano Gavin Hood, se non è una critica profonda e accorata al militarismo, ha dalla sua l'onestà di non filtrare l'aria fognale che si respira in certi gabinetti. Il calcolo delle conseguenze, mai umane sempre economiche, ci ha posto dietro un display.

Auto-de-Power

Per "Foglio", il cinema sudcoreano deve molto ad Hong Sang-soo. Anche per questo motivo il 'Rofum incontra per la quinta volta il regista seulita dell'incomunicabilità e dei piccoli incontri, oggi tramite il suo  secondo lavoro: "L'energia della Provincia di Kangwon", del 1998, sta nell'insoddisfazione, irrealizzabilità pulviscolare che, senza mascherine, rallenta le corse e spegne le fiamme.

Dolci passi

La selezione del cinema russo proposta da "Foglio" conduce al 1960, con ciò che titola come "Un'estate da ricordare", ovvero gli "Splendid Days" di "Sergino" ("Serëža"). Quando i registi sovietici Georgiy Daneliya (1930-2019, Georgia) e Igor Talankin (1927-2010, Russia), entrambi operanti nei successivi 50 anni, unirono menti e mani per raccontare i giorni visti dagli occhi di un piccoletto emotivo, alle prime misure dell'impressionante distesa della vita. Sensibile cinematografia infantile dell'URSS.

Banana bomb

Ubriaco di John Sturges mi risveglio col gusto in bocca di rosa-verde, come di ideologia bellicista e cine-romanzo. Potrebbe essere questo il senso di "Sacro e profano" (t.o. "Never so few"...), film-banana di guerra su cui uno dei nostri "mestieranti" preferiti scivolò nel 1959 guardando due stelle nel cielo di cartone. Primo punto nero sul naso dell'occhialuto.

Vivere in morte

Con Simone nuovamente nella Negri, stavolta abbiamo tenuto. Sempre uno spaccone nei paraggi, barra dritta, direzione Łódź, Polonia, verso lo sconfortante e evocativo miscuglio di "Cenere e diamanti" che solo la guerra può lasciare. Nel 1958, "Il James Dean polacco", sfortunato amico del regista, impreziosì l'esordio alla cinepresa del Andrzej Wajda, "uno dei principali esponenti della scuola di cinema polacca". Incipit del discorso politico, intimo e onesto, che l'autore proseguirà nei 60 anni di carriera.

Floppy insanguinati

Tom Cruise infestante, grandi e piccole sale.  "Tom: impossible" è il ciclo dedicatogli da "Iris", mentre nei cinema vaga lo spettro del settimo, ottavo episodio tratto dalla serie TV anni '70 (per me dalla cassetta per AMS CPC-464). Per la celebre saga spy s'è prodigato il firmamento degli autori contemporanei. Il primo della staffetta fu certo Brian De Palma, così a suo agio scivolando furtivamente sui piani sequenza del ginnico agente speciale. Tutto cominciò nel 1996. "Mission: Impossible".

Raccoglitori occulti

Chi perde tempo? Famelici sul 2° DVD, stavolta col tipico "d'essai" della collana "CinemaInternazionale", a scovare autori reconditi: di nuovo in sala Negri i toni algidi e acuminati del cinema scandinavo, allora inaspettatamente speranzosi. Ignara d'ogni legge del mercato, l'amicizia attraversa anche la frontiera tra Svezia e Norvegia. Secondo noi, "Kitchen stories" (2003), il terzo lavoro alla regia del norvegese classe 1956 Ben Hamer, j'accuse esplicito, nel suo apparente surrealismo, ai dictat scientisti (positivismo, fordismo, behaviorismo), commette il piccolo peccato di annacquare, anche con devianti musiche zuccherine, riflessioni pregnanti sulle relazioni umane.

Proibire ed armare

Un servizio giardinaggio val bene un pieno di cinema. Il primo dei 18 dvd, di vario genere, proveniente dall'"Archivio Marigrade", ha portato in sala un maestro di Hollywood. Howard Hawks ha spaziato dal musical al western, dal war al gangster. Di quest'ultima categoria, nel 1932, tracciò addirittura le linee infallibili per gli autori a venire: con "Scarface" realizzò un caposaldo cui non rimaneva che tributare sontuosi piani sequenza e colonne sonore.

Selvaggi opponibili

Sabato pomeriggio, Elena suggerisce di sfuggire al caldo in una grande sala. "Di' un po' cosa c'è...". "Animali selvatici" (t.o. "R.M.A.", ecografia rumena), "di un certo monsu, mongiu...". "Mungiu, Cristian Mungiu, andiamo". Ennesima, affascinante quanto profonda, pellicola sociale. La quinta del regista di Iasi qui al 'Rofum è sgomenta di fronte a integrazione e compassione ancora e ancora rese impossibili dalla società perduta nei boschi senza luce della xenofobia per interesse.

Macho Poco

Fatto è che quando "Simon Mi" (niente da vergognarsi), passa dal 'Rofum, è impossibile prevedere la programmazione. L'altra sera almeno 4 o 5 titoli, tutto ok, scelto!, e invece dal cappello esce "The Lighthouse", pellicola per nulla codarda di Robert Eggers (7 luglio 1983). Il denso pulviscolo di ipercriticismo in sala non mi ha impedito di apprezzare quest'opera letteraria, ben scritta, interpretata e rappresentata (il regista è sceneggiatore e scenografo). Ché due cazzi soli nel nulla hanno bisogno di sostegno per restare in piedi.

Voglio Lamamma!

Quando nelle sale estive cala la calura, una pellicola dai luoghi esotici, Cambogia, Sud Corea e...Belgio (?) parrebbe l'unica freschezza. Peccato che "Ritorno a Seul", scritto e diretto da Davy Chou, parigino classe 1983 di origine cambogiana, fa di tutto per sembrare altro da sé. Proprio come la protagonista, troppo influencer per ricordare le tradizioni familiari.

Resa dei corpi

Ancora la TV può porti davanti quel bontempone di Claude Lelouch, artista ottantacinquenne spericolato e affascinante, come il suo alter-ego ideale in "Parliamo delle mie donne" (2014, t.o. "Salaud, on t'aime") . L'amore incondizionato pone dinanzi a rimorsi inattesi, rimpianti brucianti. L'arte delle donne fa i conti con loro.

Vino e alici

E' stato grazie ad Elena se, grazie all'insospettato canale 61 "CampioneSport", la dolceamara parabola popolare di John Steinbeck di "Tortilla Flat" (1935) ha potuto trasformarsi in luce e ombre. Invero, il merito originale va alla passione letteraria di Victor Fleming che, nel 1941, si cimentò e superò la difficile prova di cogliere un'umanità da prossimo Nobel: "Gente Allegra".

Tanti dei tanti

Toh
, il cinema americano. Quant'era che non lo vedevamo in sala? Quasi due anni, dall'allucinazione marinesca di Schrader (sett-2021). Lo rincontriamo in veste black, dove discriminazione e segregazione razziale (economica) sono altri strumenti della Società del Capitale. Merce umana sempre affamata, verrà spazzata via dalla gentrificazione che permette, a tutte le ultime città, di spremere ciò che resta, prima di morire in Santa Pace. La volitiva e accorata ricostruzione, autobiografica, della regista esordiente del Queens, con una asfissiante quanto reale vena vittimistica, perde però il tram di una critica aggiornata alla sonnolenza millenials. "A thousand and one".

Urla bianche

Giugno s'è chiuso con un altro buon film in sala. Esordio interessante di Agnieszka Woszczynska, classe 1984 di Lódz. La trentanovenne polacca mostra maturità registica e sensibilità umana che potranno forgiare pellicole personali quanto affilate. "Silent land" è l'Europa e il Mondo Intero divenuti terra d'egoistica indifferenza. Landa di parole distanti, gesti inespressi.