Recensione XXXIX:
Sorvolo sulla tragica serata di martedì scorso.
Meglio parlare di questa pellicola storica del grande maestro sovietico del cinema, gran teorico del montaggio.
"Sciopero!" è il primo film di Sergej Mikhajlovič Ėjzenštejn, del 1925. Una decina i film realizzati dal regista di Riga, una decina i suoi libri teorici sull'arte della regia. Infinitamente di più quelli realizzati dagli altri riguardanti il suo genio.
Nato nella Russia pre-rivoluzionaria (1989), cresciuto nell'URSS stalinista, morto a 50 anni, ha impresso il suo nome nella Settima tra i primi. Secondo mia abitudine, provo ad ipotizzare un Ejzenštejn più longevo, in una nazione più libera. Sono inciampato in un ragionamento per assurdo; lo so.
Il film. Strepitoso.
Sorvolo sulla tragica serata di martedì scorso.
Meglio parlare di questa pellicola storica del grande maestro sovietico del cinema, gran teorico del montaggio.
"Sciopero!" è il primo film di Sergej Mikhajlovič Ėjzenštejn, del 1925. Una decina i film realizzati dal regista di Riga, una decina i suoi libri teorici sull'arte della regia. Infinitamente di più quelli realizzati dagli altri riguardanti il suo genio.
Nato nella Russia pre-rivoluzionaria (1989), cresciuto nell'URSS stalinista, morto a 50 anni, ha impresso il suo nome nella Settima tra i primi. Secondo mia abitudine, provo ad ipotizzare un Ejzenštejn più longevo, in una nazione più libera. Sono inciampato in un ragionamento per assurdo; lo so.
Il film. Strepitoso.
Chiaramente è cosparso dell'entusiasmo giovanile (come riconosciuto dallo stesso regista, anni dopo), dell'estremismo e della rabbia di chi ce l'ha ancora tutta l'energia negli arti e nella mente, nel cuore.
Questo per quanto riguarda i contenuti ed il messaggio. Nella tecnica c'è sì fresca intuizione e nuova iventiva, ma pare anche il frutto di una consapevolezza di sè e conoscenza dei mezzi, dell'arte, propri del più navigato dei registi. Credo che il motivo stia nel fatto che un giorno di Sergej Mikhajlovič fosse l'equivalente di duecento nostri.
Ciò che mi ha sorpreso maggiormente è la dinamicità delle immagini. E' di una rapidità inattesa questo bianco e nero che corre continuamente ad inseguire operai ora in rivolta ora in fuga. Sovrapposizioni di piani che danno senso di vertigine; c'è una breve sequenza che mi ha lasciato sbalordito: cinepresa sulla parte posteriore di vagone ferroviario che sta curvando a sinistra...lì, ad un metro, c'è lo sfondo rappresentato dal suolo fermo che crea un contrasto di movimenti difficile da spiegare.
Poi le invenzioni che più tardi faranno esaltare giovanotti in canottiera nelle sale del sabato sera: un commissario di polizia sfoglia un archivio con foto di personaggi noti del quartiere delle fabbriche (o erano dei possibili agenti da utilizzare nella "sorveglianza esterna", cioè tramite spie e poliziotti in borghese? Non ricordo bene), primo piano sul foglio con quattro fototessera, i quattro mezzo-busti prendono vita, si muovono ed escono dai tasselli. Incredibile. Ed il tutto non è fatto in maniera banale, il regista non si è accontentato di pensare a questa trovata e gettarla su pellicola, ha perfezionato con dettaglio maniacale la sequenza, a tal punto che, davvero, chi l'ha fatto dopo...ecco, è arrivato DOPO. Uno dei quattro personaggi, infatti, si spolvera il vestito ed esce dal riquadro, un altro esulta (per essere stato scelto?), un altro...si toglie il cappello, lo appende sulla parte esterna superiore della cornice del riquadro(!!). Bocca aperta.
"Gioca" con tutto, il regista sovietico. Anche con le lettere delle didascalie: "Tutto è tranquillo" scritto in cirillico sullo schermo; le lettere si spostano, alcune scompaiono ma altre due rimangono e s'incastrano come appoggiandosi l'una all'altra (simboleggiando uno scossone): "но", cioè "però"...
E decide, sceglie accuratamente; ogni accorgimento ha il sapore di meningi spremute, di cervello in subbuglio. Per mostrarti il suicidio di un operaio (impiccatosi), opta per la scaletta che cade e per la cintura che si stringe sempre più. Donando alla scena una sacralità ed un pudore che alla fine del film non offrirà nè alla massa di compagni repressa violentemente dalla polizia (anche se comunque qui la tragicità dei fatti viene filtrata attraverso la simbologia della mucca sgozzata), nè agli innocenti bambini caduti negli scontri (il bambino gettato così, come uno straccio, dal terzo piano da un poliziotto a cavallo, non ricordo di aver visto una scena narrata con tale crudezza, freddezza).
Sceglie i suoni (il film è muto) da associare alle immagini. Così durante la sassaiola degli operai contro il palazzo l'amministrazione è accompagnata da un costante rumore di vetrate rotte (il risultato è, a mio parere, una delle sassaiole più d'impatto a cui abbia mai assistito!); durante la carica della polizia a cavallo, il rumore degli zoccoli elimina quello delle grida dei compagni.
Sulla sua teoria/tecnica del "montaggio delle attrazioni", vi rimando a libri ed altri siti più tecnici. Vi basti sapere che per il regista, tirare uno schiaffo emozionale allo spettatore per far sì che non si addormenti, ricevendo passivamente le immagini, è un comandamento primario. Sberla data con la forza espressiva delle immagini ma anche con uno scardinamento della classica sequenza temporale prima-dopo che obblighi il pubblico a capire ciò che sta guardando.
Coincidenze (solo mie, niente di più): c'è una scena in cui un corridoio, su cui si affacciano tutte le sale amministrative, si affolla di impiegati in subbuglio, con un continuo aprire e chiudere di porte. Mi ricorda la scena in cui Chaplin in "Tempi Moderni" mosse il suo Charlot entrante/uscente dalla sua cella carceraria. Il film del regista inglese uscirà 7 anni dopo, e sarà invece Ejzenštejn a pubblicare un libro sul collega londinese, più tardi.
Il primissimo piano (dettaglio) sull'occhio delle spie mi ha ricordato quello dell'agente in borghese che pedina l'"Accattone" pasoliniano.
Non ha senso sottolineare la propaganda che sta dietro alla pellicola. Questo è cinema sommo di chi inventa grazie ad una costante dedizione.
Che poi io mi sia trovato in sintonia con la voce gridata dai fotogrammi, questo è un altro discorso.
Mai l'inglese mi è venuto tanto incontro: un MUST.
(depa)
Mamma mia cosa mi è venuto in mente!
RispondiEliminaLe sue dissolvenze! Va bene, quella dell'agente "La Volpe" che si traveste da cieco per spiare i movimenti in fabbrica OGGI non ci sorprende (resta il fatto che quelle che abbiamo visto sono figlie di questa), ma quella degli operai che si nascondono nei bagni agli occhi della guardia...mi ha rapito! W i compagni, W la loro capacità di adattarsi alle circostanze, di eludere!!
Condivido alcune tue sensazioni, Depa.
RispondiEliminaLa prima riguarda il fatto che sto genio di un russo abbia usato tutti i mezzi possibili e immaginabili che appartengono alla Settima Arte e con grande uso di materia grigia: dissolvenze di vari “tipi”, quella scena “fototessere” già da te descritta, scenografie della madonna (soprattutto nelle riprese in fabbrica), primi piani di volti (con espressività incredibili) e di oggetti (quella cintura che si stringe è un colpo al cuore!), l’uso del “sonoro” (i vetri che si rompono, gli zoccoli dei cavalli, un operaio che fischia), metafore (la mucca sgozzata), didascalie che “si animano” e qualcos’altro che sicuramente dimentico o non ho le conoscenze per individuare, il tutto atto a trasmettere forti emozioni e catturare lo spettatore. Praticamente come un pittore che decide di fare un quadro usando tutti i colori possibili!?! Miao.
La scena del bambino scaraventato dal terzo piano da un maledetto sbirro è veramente allucinante per forza e crudezza, soprattutto se abbinata alla prima (parecchio precedente) scena in cui compare quello stesso bambino e, buttandosi nel letto del padre per svegliarlo, regala l’unico momento di tenerezza del film.
Anche per quel che riguarda i contenuti (chi mi conosce già sa) anch’io mi sono sentito piacevolmente coinvolto, solidale e incazzato al fianco dei compagni-operai in sciopero che non potevano più sopportare gli abusi, le umiliazioni e soprattutto lo stipendio da fame e gli orari di lavoro massacranti. La loro compattezza, anche nel momento in cui arriva la fame, è commovente, ed è triste pensare che un’azione del genere oggi sia impossibile da realizzare.
Quando un’onda rivoluzionaria, di ribellione al padrone sfruttatore, nasceva e cresceva spontanea dalle masse era forte, compatta e resistente (la storia, ambientata nella Russia protoindustriale del 1912, sembra terminare e male, ma da lì a cinque anni ci sarà la Rivoluzione d’Ottobre), mentre nell’epoca moderna gli scioperi sono decisi da persone che non hanno la più pallida idea di cosa significhi lavorare tanto da arrivare a casa e non reggersi più in piedi e vivere con stipendi da fame, quali sono i dirigenti dei sindacati, e le manifestazioni sono guidate e limitate sempre da sti stronzi che ovviamente rifiutano la violenza anche se si tratta di “lotta di classe contro potere” perché se no poi come cazzo fanno a presentarsi candidamente a trattare con la classe dirigente?!
Belin ouh! Era da parecchio tempo che non mi sentivo così estremista!?! Tanti ringraziamenti a Sergej Mikhajlovič Ejzenštejn.