"Peggio dei cinesi"

Urka che scottatura. Uno dei film più brutti che ricordi mi è giunto in mano dalla cassetta magica di Salita di Balaclava, solitamente così preziosa. Il misterioso proponente, forse, questa volta non stava suggerendo bensì gettando...perché cos'altro si può fare con "Beautiful country"? Pellicola del 2004, diretta dal norvegese classe 1955 Hans Petter Moland e scritta da tal Sabina Murray che vien dalla Pennsylvania, pare lì a ricordare come non fare un film, o meglio, come non sia uno scherzo fare un film. Rumenta.

Deliri in terra santa

La settimana scorsa, tra festività sacre e pagane, ho trascinato Elena per un'ala sino all'"Ariston". In programmazione c'era "Sarah e Saleem", film del 2018 diretto dal trentacinquenne palestinese, ma formato professionalmente a San Francisco, Muayad Alayan e scritto dal fratello. Sottotitolo, "il sesso al tempo di Israele", offre un nuovo spaccato dell'abominevole situazione sociale cui si è giunti a Gerusalemme e dintorni (ci si abitua a tutto, se porta profitto). Fake-esistenze in una meta-vita che ormai puzza di plexiglass. E polvere da sparo.

Muri inattesi

Toh chi si vede. Dopo poco più di un mese, Claude Sautet di nuovo in sala Valèry. Sarà il nome della sala, o questo recente ribollire giallo parigino, o chissà quanto invece sarà valsa la bellezza incantatrice della protagonista?, fatto è che anche sta volta il regista parigino, che fu specialista dei drammi del cuore, ha fatto centro. "Un cuore in inverno", del 1992, ha dalla sua un andatura singolarmente seducente, pur per raccontare d'una sbandata multipla, di quelle che si ritrovano senza conducente.

Tarlo horror-ossessivo

Qualche sera fa in sala Valéry è tornato Roger Corman. Il regista di Detroit, custode dei temi del brivido sublimati nell'opera di Edgar Allan Poe, nel 1961 si cimentò, cinematograficamente e liberamente, s'intende, con uno dei suoi racconti più celebri: "Il pozzo e il pendolo" mostra, oltre al feticcio Vincent Price ancora una volta immerso nel suo espressionismo compulsivo, la consueta capacità di maneggiare la materia dell'orrore filmico, ricreando atmosfere e momenti che non risentono del tempo, né della tecnologia, trascorsi.

Greed capitale

Lunedì scorso si era ancora in derby vincente. Forse è stato sulle ali di tale bestia entusiasmante che pure il Benza si è accodato verso il "City". Nel piccolo "Due sale" di vico Carmagnola è in programma un film colombiano che attira l'occhio del cinefilo frustrato. Buon istinto, poiché "Oro verde" (sottotitolo italiano "C'era una volta in Colombia", t.o. "Pájaros de verano") è un ottimo epico sui disastri sociali, inter-personali, che hanno sempre attraversato le nostre comunità; quelle apparentemente intrecciate colle "sagge" (ipocrite) tradizioni tramandate, non meno di quelle più smaccatamente imbevute d'avidità e sfruttamento. Cambia poco, quando la molla comune è il potere. Regia di Ciro Guerra e Cristina Gallego.

V'ammazzo tut..ti amo!

In questi giorni nelle sale cinematografiche è stato riesumato (prima ristrutturato), ultimo di illustri ed acclamati "colleghi" più o meno obliati, un film messicano del 1946. Diretto da Emilio Fernández (1904-1986), giovane rivoluzionario poi scappato, poi tornato regista, quindi "riscappato" attore, "Enamorada" fa come il suo autore. Avanti e indré tra lampi di truce realismo e aiuole di melò moschicida, definitivamente sgorgante nella commedia rosa più retorica e vanesia: sin dove guardano gli occhi spiritati d'una María Félix da copertina, più che  locandina.