In questi giorni nelle sale cinematografiche è stato riesumato (prima ristrutturato), ultimo di illustri ed acclamati "colleghi" più o meno obliati, un film messicano del 1946. Diretto da Emilio Fernández (1904-1986), giovane rivoluzionario poi scappato, poi tornato regista, quindi "riscappato" attore, "Enamorada" fa come il suo autore. Avanti e indré tra lampi di truce realismo e aiuole di melò moschicida, definitivamente sgorgante nella commedia rosa più retorica e vanesia: sin dove guardano gli occhi spiritati d'una María Félix da copertina, più che locandina.
Romanticismo a piene mani. L'intrepido comandante rivoluzionario che, prima crolla dinanzi a due gambe (con sorpresa di tutti, ben coadiuvate dal "davanti"), in seguito, distrutto dal diniego amoroso, incide il nome dell'amata sulla tavola di legno. Il nostro, con due occhi languidi difficili da dimenticare (Pedro Armendáriz), si mostrerà anche afflitto sotto un balcone da serenata "Malaguena salerosa". Labbra labbra labios. Nessun pudore per lo zapatista che sogna Hollywood. A dirla tutta, il dettaglio più irritante, per tutta la visione, sarà lo sguardo allucinato della protagonista, enamorada di sé, sobra cada cosa, mai...amalgamato direbbe uno chef di oggi, col resto della pellicola. Quando scatterà sarà un piacere per gli occhi e per le orecchie, con la sua autentica fiamma latinoamericana. Ma proprio non riesco ad accettare gli slapstick sketch con esplosioni pirotecniche (con tanto di effetto sonoro, tipo flautino), bastonate su porte origliate, solo per una sontuosa carrellata iniziale (poi significativamente ripresa nel finale). Così, pure la fotografia Gabriel Figueroa, puf, desaparece.
Non un capolavoro, con buena paz di Scorsese.
(depa)
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