Dependencia de retorica

Sabato scorso, un po' scomposto, mi sono diretto solo soletto verso l'"Ariston". Dopo un siparietto incommentabile con una signora molto più scomposta di me (ride e ride), entro in sala dove mi attende l'ultima opera di Pedro Almodóvar: "Dolor y gloria", mellifluo quanto melenso, è un'astuta carrellata della memoria che, nelle pretese del regista dovrebbe consacrarlo tra i grandi. Ahimé, come suoi illustri colleghi, lo schianto sulla vetrina allestita è fragoroso, perché una centrifuga glamour, con zenzero, ricordo e passione, non è sufficiente.

Lo stato uccide ogni giorno

Le sale cinematografiche non esplodono di titoloni. Ma Elena vuole uscire a tutti i costi. Quindi, anche in vista di una chiacchiera col prof. Sini, che di questa opera ha apprezzato l'affresco sociopolitico, ieri è stata la volta del "Sivori", con un film italiano: "Il traditore", ultimo lavoro di Marco Bellocchio, narra della redenzione giudiziaria di Tommaso Buscetta (1928 - 2000), membro di Cosa Nostra ai tempi del cozzo tra vecchia mafia palermitana e giovani leve corleonesi. Ricostruzione di due ore e mezza che scorrono veloci, più che per la bellezza delle immagini, per la rilevanza della vicenda negli sporchi e frequenti intrecci tra Stato e Mafia. Come fossero cose distinte.

Diablo rubio

Prima che finisse questo maggio gelido, avrei voluto scrivere ancora tre lettere sul bizzarro film argentino visto giovedì scorso. Film psicopatico. Come il suo protagonista, quel Robledo Puch (Buenos Aires 1952), passato alle cronache come l'"Angelo della morte", tanto ben tracciato in volto, quanto mal conciato in testa. Il soggetto si presta, il regista bonairense classe 1980 Luis Ortega non lo spreca. "L'angelo del crimine", del 2018, colpisce forte quando c'è un cranio da bucare, si fa più placido, senza perdere d'efficacia, quando s'addentra nella contorta intimità e complessa sessualità del giovane biondo, interpretato efficacemente dal rapper argentino, classe 1998, Kiddo Toto.