Lo stato uccide ogni giorno

Le sale cinematografiche non esplodono di titoloni. Ma Elena vuole uscire a tutti i costi. Quindi, anche in vista di una chiacchiera col prof. Sini, che di questa opera ha apprezzato l'affresco sociopolitico, ieri è stata la volta del "Sivori", con un film italiano: "Il traditore", ultimo lavoro di Marco Bellocchio, narra della redenzione giudiziaria di Tommaso Buscetta (1928 - 2000), membro di Cosa Nostra ai tempi del cozzo tra vecchia mafia palermitana e giovani leve corleonesi. Ricostruzione di due ore e mezza che scorrono veloci, più che per la bellezza delle immagini, per la rilevanza della vicenda negli sporchi e frequenti intrecci tra Stato e Mafia. Come fossero cose distinte.

Almeno nella rappresentazione, merito dello scafato regista piacentino (1939), si ha davanti una pellicola solida, dove il tipico tono smandruppato nostrano stavolta trova consona collocazione, in bocca e nei gesti di questi buffi quanto micidiali tigrotti in gabbia (la similitudine non verrà censurata dall'autore, anzi...). Il racconto procede sul volto turbato di Pierfrancesco Favino. In una sceneggiatura che come prevedibile bracca il suo Buscetta, l'attore romano si fa carico del lato introspettivo del personaggio, con grande efficacia. Il bailamme o karaoke nelle aule bunker è pura cosa nostra, teatralità italiana che giustifica i prezzi.
Certo, a voler stringere, anche per rispetto verso l'eroe dello Stato quivi interpretato, che per caparbietà ci rimise la vita, un po' di frustrazione sovviene. Le rivelazioni rimangono, come negli studi, aule e camere e ministeri, fumose, i collegamenti contorti, i coinvolgimenti abbozzati. Come se davvero non si riuscisse a fare un passo oltre l'"Io so". Esemplare il processo contro Andreotti. Si sa, ma non si hanno le prove. E, nel dubbio, lo voto: "la Repubblica è servita".
Oltre alla cupa atmosfera di fuggitivo in cono d'ombra, rimane la sequenza dell'elicottero, dal contrappunto vertiginoso, fatta come insegna Hollywood.
Forse non m'aspettavo nulla più, di sicuro temevo peggio.
(depa)

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