Diablo rubio

Prima che finisse questo maggio gelido, avrei voluto scrivere ancora tre lettere sul bizzarro film argentino visto giovedì scorso. Film psicopatico. Come il suo protagonista, quel Robledo Puch (Buenos Aires 1952), passato alle cronache come l'"Angelo della morte", tanto ben tracciato in volto, quanto mal conciato in testa. Il soggetto si presta, il regista bonairense classe 1980 Luis Ortega non lo spreca. "L'angelo del crimine", del 2018, colpisce forte quando c'è un cranio da bucare, si fa più placido, senza perdere d'efficacia, quando s'addentra nella contorta intimità e complessa sessualità del giovane biondo, interpretato efficacemente dal rapper argentino, classe 1998, Kiddo Toto.

Dai colori cari agli ispanici, Almodovar produttore ha dato il beneplacito, alla lucentezza divina che tutto ammanta. La pellicola si veste di satin, a ricordare quell'età, l'adolescenza, in cui i contorni sfumano verso le forme del sogno (desiderio). Ben presto l'urto colpisce lo spettatore: l'ingenuità di Carlos è la sua arma più terrificante.
Dopotutto, come se qualcuno avesse perso l'aereo, ma all'ennesima potenza. Non è tanto la forza omicida del solare Carlos a sgomentare, quanto la leggerezza, ancora prima che sfrontatezza, con cui compie le sue efferatezze. 
Kiddo Toto, nato Lorenzo Ferro in Buenos Aires, rappresenta per forza di cose il punto focale della pellicola. Sul suo volto angelico fa perno il contrasto che insaporisce la pellicola. Dopo il fastidio iniziale, sia Elena sia il sottoscritto, abbiamo iniziato a simpatizzare per questa diabolica faccia da schiaffi. Contrappunto ripreso dalle canzoni pop argentine degli anni '70, dove i rallenti possono ricoprire il loro ruolo senza imbarazzi, tra ironia e follia. In primissimo piano una storia criminale, personale; sullo sfondo un'altra, quella nazionale. Fuori dal cono di morte che lo circonda, mica va molto meglio ("Scimmie rasate per essere vendute come bambini"). Tra individui già smarriti nel consumo, già legati ai loro mangiafuoco.
(depa)

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