Il segno del leone

Impressione LII:
Avanti un altro: introdotto un regista la cui carriera e spessore artistico rendevano la nostra rassegna, avventura di un anno e più, a dir poco deficiente, menomata. Tutti in piedi, altro padre (nel suo caso nonno) della Nouvelle Vague: Éric Rohmer, classe 1920, nato a Tulle , cuore della Francia, ma parigino ad honorem, innamorato della capitale. Il film che abbiamo visto martedì è "Il segno del leone", del 1959, ed è il suo primo. Se si tratta di esordio nel campo del lungometraggio, non lo è per quanto riguarda la materia cinematografica.

Extra: De qua e de là

Jean-Luc Godard a valanga. Continua l'assedio del regista parigino alle nostre consuetudini cinematografiche, continua a premere, a gettare granate ovunque, radere al suolo ogni struttura classica somministrata al povero pubblico ostaggio d'opere omologanti. Non contento di aver già tramortito Lelena a suon di libretti rossi lanciati su carrarmatini di cartone, insisto (anche se è stata lei, giuro, a proporre lo Spazio Oberdan) e testo ancora la nostra tenuta...col maestro francese ed inter nos.
"Masculìn femminìn" (il cui titolo fu tradotto in Italia con un fuorviante "Il maschio e la femmina") è del 1966, l'anno precedente delle due "sorelle", una cinese  e l'altra di cui si sa relativamente...

Le mépris

Idea LI:
In sala Uander solo la crème del Cinerofum: DepRa, Lelena, Taigher e Fox. Ah, c'è anche una presenza a distanza, nella succursale sala Tuba (Albert Aporty intuì che questo film non si poteva perdere...). Partiamo in maniera banale, come tutti? Iniziamo col citare il fu Carlo Ponti, il quale sarebbe stato meglio, a 'sto punto, che fosse riuscito ad esercitare la sua professione ambita, la politica, invece che riversare sul cinema le proprie incapacità ed ottusità. Non per altro, ma nell'altro campo avrebbe, sicuramente, sfondato. "Il disprezzo", diretto da Jean Luc-Godard nel 1963, non doveva essere toccato.

L'Angelo Azzurro

Visione L:
Di scena, per il mitico cinquantesimo appuntamento ufficiale del nostro Cinerofum, la disperata discesa agli inferi del professor Rath, incapace di far fronte agli attacchi micidiali di una donna che può, con voce, occhi e gambe, ingabbiare il cuore di qualsiasi uomo e torturarlo giorno e notte, senza alcuna possibilità di fuga. Qui non si parla di una bonazza che un maschietto può desiderare per una notte, o mille che siano; Lola Lola non ti fa venire una voglia matta di possederla, di portartela a letto e farci acrobazie che racconteresti al baretto. No, Lola sa tutti i repertori delle sirene, conosce le temperature glaciali dei due poli, ma sa anche scaldarsi a comando, con tutte le vittime che vuole, pubblico o metà malcapitata.

Extra: La cinese "godarda"

Che storia il cinema! Già rischiai la prima volta che invitai al cinema la ragazza con cui "cammino" ormai da quattro anni, sottoponendola ad un "grande capo" vontrierano che la lascio alquanto perplessa (soprattutto su di me); e adesso? Ora, per tirarla a me ancora per un po', non sono riuscito a fare di meglio che proporle un'eccezionale serata a tema: la Cina. Quindi? Cinese sotto casa, "Drago d'oro" (mitico luogo d'incontro del trio delle meraviglie: io, lei, Zippa; che serata leggendaria nel gennaio 2007!) e di corsa all'"Oberdan" dove, a pennello, viene proiettato "La cinese" del profano Jean-Luc Godard, 1967 (qui la data ha un particolar peso).

Extra: rimpatriata al sapor di R&B.

"Il Grande Freddo", di Lawrence Kasdan, del 1983. Secondo me la recensione di questo film non può che cominciare con: "Ta ta-ta-TAN, tadadadan, ta-ta tan...!!". Marvin Gaye lascia il segno, ci accoglie all'inizio del film, che possiede uno degli incipit più belli che io ricordi. "I Heard It through the Grapevine" rimane nelle orecchie per parecchie ore. Al di là di ciò che si possa pensare di questo film, indubbiamente la colonna sonora occupa una posizione di primo piano: la fine dei '60 ripercorsa a suon di "pezzacci" che fanno venire la pelle d'oca. Poi si svolge la pellicola. E' film culto.

Extra: Ogro...altro che padania.

Dopo la piacevole scoperta, che, come tutte quelle migliori, è avvenuta semplicemente per caso, di un grande regista italiano, Gillo Pontecorvo, non posso esimermi da scrivere almeno una recensione. Dico almeno una poiché sarebbe molto bello leggere qualcosa dei suoi film, scritta da qualcuno che abbia un'ottima padronanza di argomentazioni storiche. Purtroppo, non avendo questa competenza, mi limiterò a parlare dal punto di vista cinematografico. (questa ce l'ho? ... ehh si.)
Il primo film del regista che ho visto è stato "La battaglia di Algeri", scovato nelle classifiche dei migliori film secondo la critica: assolutamente superlativo. Poi è stata la volta di "Kapò", ambientato in un campo di concentramento polacco: anche in questo, il regista conferma tutto il suo stile. Ieri sera è toccato a "Ogro", film del 1979.