Il disco rigido che muore, la TV che ripara, proponendo quel "Il diritto di uccidere" (t.o. "Eye in the sky", 2015) che Frd anticipò smaniante sulle nefandezze di scienze e tecnologia in campo bellico. La pellicola del sudafricano Gavin Hood, se non è una critica profonda e accorata al militarismo, ha dalla sua l'onestà di non filtrare l'aria fognale che si respira in certi gabinetti. Il calcolo delle conseguenze, mai umane sempre economiche, ci ha posto dietro un display.
"In guerra la prima vittima è la verità" diceva Eschilo. A Nairobi, Kenya, ma non solo i Servizi Segreti (SS) britannici, ma anche kenioti cooperano fruttuosamente col governo somalo. Nell'operazione "Airone", un "occhio dal cielo" consente la sola umanità dei generali. Camera Colibrì, Scarabeo, affascinanti e innocui dispositivi di sorveglianza e punizione. L'utilizzo duale degli strumenti di morte, il civile gioca con gli aquiloni mentre il militare miete vittime. Hellfire su quel tetto, legalmente (l'accordo si trova), secondo le necessità belliche. Tra impietosi rimbalzi burocratici, con gli statunitensi più disinvolti, Helen Mirren è una perfetta guerrafondaia.
Interessante su rapporti e dinamiche tra vari interessi e forces. Senza reazione, chini verso il prossimo ordine (coi fugaci rimorsi dei novellini, mica delle mele buone). "Se solo fosse così semplice", intendono ammazzare senza chiedere. Al di là della bambina, bello scontro leale: come se la differenza risiedesse nel fatto che sia sopravvissuta o no. Ma sì una differenza la fa: ammazzandola il film resta onesto. Pretestuosa estetica con l'hula-hoop, ma il finale è più acuminato di quanto appaia (sono i "terroristi" a traportare il corpo all'ospedale).
(depa)
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