Sabato pomeriggio, Elena suggerisce di sfuggire al caldo in una grande sala. "Di' un po' cosa c'è...". "Animali selvatici" (t.o. "R.M.A.", ecografia rumena), "di un certo monsu, mongiu...". "Mungiu, Cristian Mungiu, andiamo". Ennesima, affascinante quanto profonda, pellicola sociale. La quinta del regista di Iasi qui al 'Rofum è sgomenta di fronte a integrazione e compassione ancora e ancora rese impossibili dalla società perduta nei boschi senza luce della xenofobia per interesse.
Incipit suggestivo, con lo sguardo di un bambino trafitto da uno spavento disumano. Salto spaziale, temporale e generazionale, lo stesso macabro e incombente incubo. Frattura tra uomo e natura, questa in disgregazione ormai osservata con nonchalance da influencer, spregiudicatezza da cowboy.
Di nuovo e sempre convinti di qualche assurdo diritto a danno di altri (di precedenza, di violenza). Vero che l'assemblea è il momento in cui gli stereotipi inondano la schermo, ma come chiedere al regista di dipingere con altri pastelli lo scenario infernale per gli sfruttati che si scannano, ma utile al Capitale per mantenere profitti in crescita. Non solo pane, ma "anche l'operaio vuole il figlio dottore" e sarebbe ora cessasse, tanto è anacronistico e "pacco" il lavoro liberatore.
Sequenza finale tra le più efficaci che ricordi, col piano sequenza allucinato che non risente di uno "SCUSA! SCUSA!" inspiegabile solo per chi non ha mai visto entrare nella propria casa il proprio flirt col fucile in mano. Infanzia, amore, solidarietà, ai tempi del Capitale. Mungiu realizza una feroce pellicola contro l'intolleranza divenuta norma (legge), col suo stile severo e brioso, infondendo quel piccolo di fantastico, surreale, che fa propagare ancor più lontano le amare riflessioni. Mi viene l'ultimo soggiorno di Panahi nelle remote comunità del "Progresso", dove il volto del meccanismo democratico diviene scheletrico. Gli "orsi", purtroppo, esistono e quando sono in maggioranza è merda.
(depa)
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