Vivere in morte

Con Simone nuovamente nella Negri, stavolta abbiamo tenuto. Sempre uno spaccone nei paraggi, barra dritta, direzione Łódź, Polonia, verso lo sconfortante e evocativo miscuglio di "Cenere e diamanti" che solo la guerra può lasciare. Nel 1958, "Il James Dean polacco", sfortunato amico del regista, impreziosì l'esordio alla cinepresa del Andrzej Wajda, "uno dei principali esponenti della scuola di cinema polacca". Incipit del discorso politico, intimo e onesto, che l'autore proseguirà nei 60 anni di carriera.
Prodotto dalla "KADR", in pista da qualche anno, e tratto dal romanzo omonimo, del 1948, il cui autore è anch'esso "uno dei più importanti rappresentanti della letteratura polacca moderna", Jerzy Andrzejewski (1909-1983), è un racconto di amore ai tempi della guerra, delle ferite civili. Non solo, i danni di una retorica militarista, bellicista, nazionalista, lasciano scorie tossiche contaminanti. Wajda cerca di disinfettare le ipocrisie imperanti correndo il rischio di accuse incrociate. "Ogni fazione ha chi muore eroicamente". Fedeli di un socialismo già tradito opposti a difensori di una bandiera inesistente. In terra polacca come altrove. Il passato tribolato non è materia da semplificazioni. "Riuscire a vivere". "Senza sapere se si è tristi o felici". "Politecnico...tutte illusioni!".
"Il James Dean polacco" è Zbigniew Cybulski (1927-1967): Maciek è così, leggero, scanzonato, ma determinato. Scalpita esattamente come la star di Marion, fa un cenno ad un cavallo e se va.  Regia immediata quanto elegante, con un occhio ai maestri francesi, riesce a rendere i suoi diamanti rimasti nella cenere gemme vive tra le macerie. La sequenza dell'incursione di fuochi d'artificio, tra le feste in decomposizione...bellissimo. Dopo alcune défaillance nostrane (inspiegabili), dal cinefilo della terra di mezzo, senza Sale e DVD, solo sorprendenti sortite in celluloide.
(depa)

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