Beviamoci tu

Alle solite: "Debolino". "Eccezionale". "Così, così". "Grandissimo". "Sempre lo stesso": in senso positivo o no. La verità è che dall'alto della sua maestria ed esperienza maneggia il mezzo cinematografico ad occhi chiusi: quasi fastidioso, Woody Allen. "Un giorno di pioggia a New York" scorre senza intoppi su di un'altra meravigliosa girandola vitale. Quindi il solito, proprio vero, sei tu, Woody.

I "tuoi" caratteri (font) aggraziati su buon jazz in bianco e nero, poi voce fuori campo che, in rapida (e astuta) sintesi dispone le carte. Se uno taccia Woody di scarsa originalità nella struttura delle sue pellicole non dice un abominio. Sul 'Rofum s'è già scritto più volte. Il punto è che ciò, semmai, alza l'asticella. E veder, quasi ogni anno, volteggiare l'ottuagenario di New York sopra la sfida, ne tributa già la gloria (cinematografica). Inoltre, perché cambiare squadra, se ogni volta il match è mirabolante (come rimproverare a Messi di avere un tic davvero insopportabile, quello del goal).
Superato l'impatto con la mimica statunitense con lo stampo (quanto si muovo 'ste facce, sarà che sanno di essere sempre tutti on-air, on-line, ma o-beliximu, al confronto gli italiani sono algidi scandinavi), si arriva in brevissimo ad apprezzare le ottime interpretazioni. Ancora una volta due giovani terribilmente in gamba, diretti alla grande dal nonnetto di Hollywood. Il newyorkese classe 1995 Timothée "Gatsby" Chalamet e la georgian classe 1998 Elle "Ashleigh" Fanning, belle facce, bravi attori (lei splendida drunked).
Soldi, sogni, soldi, sogni in giro per la Grande Mela. I sentimenti possono aggirarvisi (solo se riuscite a leggere e pronunciare questa parola), ma società dello spettacolo e alcol faranno dimenticare loro anche i propri nomi. New York si fa in macchina, in salotto, in vetrina, per incrociare i raggi di luce dal Pianeta Storaro. La sceneggiatura è da brividi, a guardarla bene vibra ancora qualcosa, tanto è leggera e guizzante. I dialoghi, colonna portante del cinema di Allen, sono colti e affilati come sempre (forse solo qualche inciampo, ma "Ashleigh" è così stupida!). Anche il momento della confessione della madre pare un po' forzato (al di là dell'ingenua, o peggio, illusione che un'ex-escort, per riabilitarsi, non possa che divenire un'idiota alto-borghese sposata col magnate di turno e pronta a "far fruttare il suo gruzzolo"), così come l'estatica considerazione del figlio a suo riguardo, "Vale di più, l'avevo sottovalutata" (because ora sai che la dava in giro? perché infine lo ha rivelato? perché è riuscita a tenerlo segreto per una vita? Why? A me sembra una crrretina come prima), pare più grezza di ciò cui Woody ci ha abituati. Invece, quanto è vero che si possa detestare con tutto se stesso una risata, anche se amata. Ma suscitata dal maestro newyorkese dell'ironia...mai.
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento