Periodo di bassa avvilente, nei cinema. Verrebbe da dire Allerta Rossa ("Non entrate nelle sale!"). Meglio così: meno gliene date, alla sala Valéry, più se ne prende. Altro Woody Allen, allora, ché a Elena piace e a me...pure. Con l'allora sessantacinquenne vecchietto newyorkese come interprete, "La maledizione dello scorpione di giada" (2001) è uno spumeggiante intreccio tip tap che, tra poli, amori, opposti e odi, scivola sulla pista ben oleata dell'autore. Con molta leggerezza. Più che un soffio, uno spiffero (mai fastidioso).
Guardando un film di Allen si percepisce ben presto la possanza della struttura. Le prime linee, secche e dirette, si fanno putrelle rassicuranti. E l'animo dello spettatore può adagiarsi tra le sue battute puf, le situazioni cuscinanti. Quindi proverà un déjà-vu, il consueto disegno di cemento, solidissimo, lo annoierà, spingendolo alla grinta critica, alla risata snob, (ché ormai vi sono i blog). Dimenticando, però, che quella semplice idea, quelle cinque pareti, senza troppe pretese d'originalità, sono il massimo comfort raggiunto e che, piaccia o non piaccia, piaccia...e funzioni (come titolerà lo stesso Woody, anni dopo, come a zittire). Non solo: ne converrete, debbono star su (le pareti, dico). Allen le innalza sullo schermo, rassicuranti (sempre le pareti), salutandovi benevolo, mentre mugugnanti andate..."Ritornerai". (altrimenti, "Come diamine eri finito qui?")
Come in ogni commedia che Woody comandi, protagonista trasversale è il corpo, con le sue sbandate. Quello femminile, almeno questo mondo, lo muove ("nonostante qualsiasi crisi economica, non morirà mai di fame"). Sullo sfondo di anni '940 che sembrano i nostri '960 (ma gli States, You Know...), si balzella scanzonatamente tra il tira e il molla del cuore. Tra Magia e Maledizione.
(depa)
Macchina da film Woody....
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