Angusto Show

Ancua "Valéry". Nell'anno di Billie Holiday (scomparsa 60 anni fa), la sala del Cinerofum non ha potuto altro che aprirsi al trascinante ritmo, in bianco e nero, del magico sound d'oltreoceano. E se pronunci, in qualunque maniera, la parola Jazz, sullo schermo appare senza dubbio l'elegante, brioso, ironico, sinuoso e scatenato cinema di Woody Allen. "Celebrity", del 1998, è un viaggio caotico (nevrotico, logorroico) ed orgasmico nel mondo dello show-biz. Tra pietà ed affetto, bellezze magnetiche a sopperire a una dialettica alquanto glamour e...vuota, lo sterile ma profittevole bailamme cui tutti i qualunque paiono aspirare.

Le pellicole del regista newyorkese, apparentemente così semplici da sfornare, nascondono una comunione di capacità professionali e artistiche che, sola, può garantire tali risultati (tra gli altri, un plauso al doppiaggio, particolarmente difficile dato l'abbondante overlapping, particolarmente riuscito. In questo racconto dionisiaco ("me l'ha detto un greco"), per fascini e gradazioni alcoliche, la gioiosa imprevedibilità della foia, la truce certezza del tempo ("Poi ti ritrovi col compagno di pinnacolo di tuo padre"). Proprio come nell'ultima opera dell'ottuagenario autore. 
Band di grandi interpreti: l'adulatore apparentemente imbranato del nordirlandese Kenneth Branagh è un asse portante del film; l'isterica e frustrata dell'australiana Judy Davis è in balia di un destino capriccioso. Woody Allen, con la consueta naturalezza, non sbaglia e realizza un brano cinematografico jazz travolgente.
Ottima satira sul mondo dello spettacolo (e dei suoi spettatori). Per non farsi mancare: pure un Trump (himself) già dichiarante, senza rimorsi, di voler tirare giù luoghi di culto (non era ancora specializzato in moschee) per costruirvi grattacieli. Universo delle celebrità sempre più angusto. Sempre più padrone
(depa)

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