I frappè dei vicini

Per dirne un'altra, la seconda, venerdì scorso è ri-passato dalla "Valéry" Roman Polański. Ancora il suo ultimo nelle sale pubbliche, per noi inavvicinabile al "Corallo", Elena ed io abbiamo riparato a mancanza piuttosto grave per sedicenti "amici del cine". "Rosemary's Baby", del 1968, è un thriller psicologico ma nemmeno tanto. Poiché la bestia è reale, come la brama di successo che pervade la comunità.
Toh chi si vede, John Cassavetes. E Mia Farrow. In Technicolor (R). Questa coppia felice ha già in volto qualcosa di sinistro. Dall'omonimo di Ira Levin (di cui ho letto solo, e chissene, "Questo giorno perfetto"), Polanski spremette una gran pellicola che supera il rischio della messa in scena. Scenografi, costumisti, alle musiche, interpreti, come un tutt'uno. Il nido d'amore in una casa di fantasmi? Può darsi. Colorato da variegati raggi di luce, l'ambiente mutevole illude poi spaventa. Il distratto quanto premuroso compagno, interpretato da Cassavetes diviene uno scattante loseiano. Tensione d'autore, raccapriccianti ingredienti mescolati colla sapienza di strega scafata (non vedrete sangue né corpi, solo frappè).­ Ricorda gli Hitchcock più "visivi", con l'efficace contrappunto tra il crescendo di suspense nella neo coppia (maternità e misteri) e la vuota comunicazione della stessa. La stregoneria sta nello stato psicofisico dell'incinta (con tutta la mimica nervosa ed insicura della spaurita Mia Farrow) unita alla distrazione del futuro padre (premuroso, imbarazzato, alienato dalla sua stessa incapacità di scansare l'altare della fama).
Danza tra realtà e finzione. Il teatrino delle maniere, tra falsità e ipocrisie, può allestire uno spettacolo mortale. Inquietante. Come il successo.
(depa)

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