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In sala Valéry, questa volta per puro caso, è passato a trovarci il sudcoreano Bong Joon-Ho, ancora colla sua frangetta in testa e palma dorata in mano. Presentato dalla Showbox, il tizio fa il mirabolante, riuscendovi. Fantasatira grezza, emendata appena premiata, ha dalla sua il monster-appeal per tutti, la critical-social per chi non è un robot. Sintetizzate nei ruoli, le asperità di una comunità ormai persa. Divertente contro il dente, "The Host".

2000, obitorio (bellissimo) e Formalina ("Formaldeide per la precisione"); 2002: primi casini nel fiume Han. 2006: ciao? Sì, anzi, addio, dopo la comparsa del mutante. Avventura fantascientifica quindi. Dai risvolti sociali piuttosto espliciti: l'idiozia fisiologica della massa urbana (mancano solo le sdraio a bordo fiume, di sharkiana memoria), la silenzios(issim)a e sempiterna lotta di classe tra chi ha tutto e chi niente (la famiglia protagonista, anche in questo caso, è in miseria). Allegorie fanta-sociali per nulla distopiche: basi americane su altrui suoli patri; militari che, in intrinseco raptus di ordini o no, distruggono il pianeta (di tutti); la meschina disposizione allo sfruttamento. Dialoghi distesi, contrappunto tarantiniano, nel marasma che v'è tutt'attorno. Confrontandolo con l'ultima palma, chiaramente, l'allegoria qui risulta a grana più grossa, mostrando semmai la maturazione artistica del regista sudcoreano in questi tredici anni. (ho scritto fanta?) Divertente, questa palma, col sinuoso mostro tra sinfonie classiche e ponti imponenti. Quasi a ricordare che non siamo nulla; se non siamo.
(depa)

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