...portano a Tebe

Dopo l'interruzione causata dalla notte passata nell'attico dei Mignoidi (uscir d'ufficio e manco dover tornare a casa...e che ombrina! Grazie), ligio alle responsabilità verso la Sala Valéry, l'ho raggiunta con un altro Pier Paolo Pasolini in mano. "Edipo Re" trasposizione della tragedia sofoclea, scritta e diretta nel 1967, perlustra l'elementare senso di colpa che ogni individuo porta con sé. Ancor più in società capitalistiche. A fortiori tra gli affamati. Quindi sì, inevitabili riferimenti autobiografici. Universali.

Sempre grazie al "suo" Alfredo Bini, nero su beige (poi, per la prima volta, saran colori!). Il quale ha preparato tutto: Silvana Mangano, Alida Valli, Carmelo Bene, poi altri "suoi suoi", Franco Citti e Ninetto Davoli. Dopo la terra santa bianconera vista pochi giorni or, un certo effetto vedere Tebe in techno color, tra piazzette, monumenti e persiane, come una sorta di Casarza (PN). Si tornerà indietro, poiché da Corinto passa il destino.
Più sensoriale che parlato, a tratti allucinatorio (tutte le strade portano a Tebe), racconta del grido d'Edipo scagliantesi verso il fato, contro sé.
Trance omicida, quindi suicida. Fino alla cecità, conditio sine qua del Non. Il capitale di dolore s'accumula cogli ori dei giorni. Laio assassinato. Creonte cognato, Carmelo Bene oscurato. "Perché sei tanto spaventato di fare l'amore con tua madre?" chiede Giocasta Mangano. "Dio cosa fare di me?" risponde didascalico suo fmiagrlioto Edipo Citti. Ascolta Tiresia.
Opera cinematografica filologicamente densa, in giro trovate ottimi commenti (mica è tutta cinerofum). Essenziale, intensa, sofoclea pasoliniana (non certo per un implorante cameo, da buon cittadino, in corteo antipeste).
(depa)

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