La Santa Sala (Valéry), ieri sera, ha sparso sacre parole su me e il mio divano. Verba per una sincera adesione a dio, scevra di vanità, per un'autentica redenzione, priva di opportunismo. "Il Vangelo secondo Matteo", scritto e diretto da Pier Paolo Pasolini nel 1964, fedele al testo omonimo, ribadisce l'affascinante idea di un Gesù Cristo umile tra gli umili. Peccato che i postumi suoi rappresentanti e delegati, da veri "scribi e farisei ipocriti", abbiano lavorato per millenni in senso opposto; poiché, vedendo questa solenne rappresentazione di un figlio di dio coerente e rabbioso, interpretato da un sindacalista antifranchista, stavo quasi per credere. Ad ogni modo, mise-en-scène di grand'effetto, tra volti caricati e sinfonie glorificanti. Da vedere.
"Premio Speciale della Giuria" a Venezia '64, nonché dell'"Office Catholique International du Cinéma" (quali arcane formule riesumano questi scheletri ecclesiastici?). Dedicato a Papa XXIII. Come dire: tutti contenti. Mescolanza di attori non professionisti, intellettuali amici (Natalia Ginzburg è la mamma di qualcuna) e parenti dell'autore (sua mamma, Maria invecchiata in fretta, è uno dei volti che ricorderete di più). Come prevedibile, un racconto di terra e polvere, dove il popolo porta sui volti, e non solo, gioie e dolori dei suoi giorni. Scorre lungo gli episodi noti e gli occhi s'appagano per le scelte registiche dell'autore bolognese (di nascita). Il suo senso estetico è innegabile, la semantica dei mezzi cinematografici idem.
Ben venga un giustiziere, "non sono venuto a portare la pace, bensì la spada". Poiché, se anche fosse "più facile che un cammello passi per la cruna d'un ago, piuttosto che un ricco entri nel regno dei cieli", evidentemente a chi possiede non interessa punto. Se sul piatto poniamo anche "gli scandali" (come dire: passano i millenni...), in verità vi dico: guai a noi.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento