La settimana scorsa, nella Sala-che-sapete, è tornato Marco Ferreri (1928-1997), il regista milanese che inzaccherò senza indugio il palcoscenico di una società borghese luminosa e famelica quanto vuota e brancolante. "L'udienza", del 1971, oltre a ciò, è un piccolo gioiello di delicatezza, ode ai tanti piccoli uomini dinanzi ad assurdi giganti. Lo sgomento del protagonista, Enzo Jannacci calzante nella sua mimica unica, al cospetto di una Chiesa che pare ben comprendere e condividere i mezzi dello Stato: burocrazia alienante, retorica ammaliante e repressione braccante.
Piccolo cast d'eccezione: Ugo Tognazzi, Claudia Cardinale, Michel Piccoli, Vittorio Gassman e, appunto, un Enzo Jannacci di indimenticabile efficacia. Il fondo di sagacia che permea ogni sua riflessione, bofonchiata o gridata che sia, risulta mezzo prezioso per smascherare l'ipocrisia che ammorba la nostra società (-"Ma è proibito o no?". -"Si tratta solo di un consiglio"). L'irrequieta vitalità del protagonista è un film nel film. Poi appare la nota voce dell'Ugo di Cremona e la sala Valéry fa "ohhh!". Sulle teste, musica estraniante di campane incombenti, altro che salvezza.
Nel racconto irrompe l'amore, con un'altra dolceamara storia d'amor nato a pagamento, cresciuto a baci, finito in dolore. I siparietti tra i due personaggi bisognosi di tenerezza son parentesi altrettanto preziose. "Fare l'amore non è peccato" ("Bella porcona"). La paranoia salta alla gola, in tempi di strade infuocate. Il parallelo tra lo stato pontificio e la "repubblica costituzionale", entrambi poteri irrisolvibili (se non annientati) apre una voragine riflessiva. In questo castello kafkiano, sull'effetto allucinato della pellicola, Iannacci pone la firma, caratterizzando riconoscibilmente il suo delicato e rabbioso personaggio.
Poi Tognazzi..."E il lavoro come va? La licenza, tutto a posto?" Ecco lo spirito da guardie che pare così tanto, ai giorni nostri, gonfiare i cuori sintetici di molti servi, istituzionali e non (basta guardarsi attorno, più vigili che gabbiani, polizia ausiliaria che topi, lubrani che posteggi...). Ferreri conosceva bene le dinamiche della nostra società e come queste conducono, semper, alla "mistica dell'eroismo" (prima gli italiani, spari dai balconi etc). Quindi, una pellicola sulla paura ("anche il papa" ne ha). Perché da una società infingarda e sfruttatrice, il terrore, lotta o reazione, deve o può, scorrere per strade e membra.
Gran finale, di un gran film. La giostra del potere riparte, immanente ed immutabile.
(depa)
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