Finito di ri-vedere, in Sala Valéry, "Providence". Alain Resnais è uno di quei pochi registi, per il sottoscritto, per cui due volte è meglio che una. Uno, per dipanare l'intricato incantesimo cinematografico; due, per godere ancora una volta della musica per immagini che, di certo, percorrerà lo schermo. Pellicola del 1977, con una manciata di grandi interpreti, è un'altra perla letteraria e visiva dell'autore francese.
Resnais infrange un altro dei miei tabù: leggera la sinossi prima dell'uso. Il rischio non è grave, la terapia comporterebbe quella, più che gradevole, re-visione di cui sopra. Ma seppur "un vecchio scrittore, gravemente malato, ripensa...", scordatevi tutto ciò.
Cinema elevato e profondo (simbolico, sicuro, metaforico, anche). Artisticamente, intellettualmente (intimamente e socialmente per quanto nelle mani del regista). Sagacia intellettualistica, dipanata in caleidoscopica carrellata di colori, musicalità per la vista, come detto, e per l'intelletto. Cinema che esige le sue identità e specificità). Con Dirk Bogarde, looseiano sì, come la pellicola, cinico, ironico e strano, a parlar chiaro sui binari paralleli dell'incomunicabilità tra per-sone. "Ti trovo bene" - "Sto morendo". Carcerieri ed indipendenti "io prime persone singolari", una visione soggettiva può semplificare, ma non troppo.
Parrebbe un'altra, elegante, disamina sul vuoto borghese e, pas à pas, con l'inarrestabile treno che conduce a Morte. Ma sullo sfondo. In primo piano, il rapporto tra padre e figlio, visto dal padre. Tra questi e la Fine della moglie, prima, della propria, dopo.
Rappresentazione scalpitante, dirompente, tutto teso verso canali inesplorati o, per lo meno, poco battuti. Resnais distorce e crea, con calciatori, coi guantoni, che irrompono nel meta-racconto, surrealizzando il discorso ("si sarà perso nell'albergo"). Immancabile in Resnais: tutt'attorno militari, squadracce, spari. L'Autorità non diserta nemmeno il campo dell'Immaginazione. "Tra i bombardamenti e le demolizioni dei vecchi palazzi non resterà più niente". Ulteriormente innalzato da attori formidabili, tra cui spiccano i principali: il padre, l'inglese John Gielgud (1904-2000), e il figlio, Dirk Bogarde, perfettamente atipico nel cambio di grinta del finale "reale". Grandiosi.
In fondo, borghese lo è, perché individua sempre nella sua classe, benestante ed istruita, anche se per questo più esposta a frustranti trastulli dell'anima, la capacità di salvarsi. Fosse anche con qualche bicchierino a seguire.
Ma il film è grandioso.
(depa)
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