Pomeriggi finesettimanali autoleccanti
metaforicamente sino a un certo, la televisione può venire in soccorso.
Anche se la proposta è un esempio di forma senza contenuto, anzi meglio.
Glorioso già dimenticato ingresso di Kevin Costner regista al Cinerofum, “L’uomo
del giorno dopo” (t.o. “The postman”), del 1997, promette individualismi,
emancipazioni e indipendenze consapevoli, ma si accovaccia sulla bandiera,
solite stelle strisciate, palesando la visione ristretta di un non autore.
United for
Tra le proposte televisive, dopo le western, quelle belliche
sono al secondo posto. Un nome che riecheggia spesso è “Navarone”, ideale punto
critico del secondo conflitto Capitale. Cinerofum già indica qualcosa di
storto, non potevamo che dirigerci verso l’Egeo a dorso, arrivando in ritardo
di 17 anni, ma in tempo per incrociare Guy Hamilton (1922-2016): il suo sequel
“Forza 10 da Navarone” è ancora lì che surfa.
Motivi per viaggiare
Recentemente ripresentato da “RaiMovie” in occasione del suo restauro, con “I 9 di Dryfork City”, t.o. “Stagecoach”, ché di remake del 1966 si tratta, posso rincontrare Gordon Douglas. Il regista che ci ha convinto con lavori semplici quanto efficaci, ventisette anni dopo il western più osannato, non tremò dietro la m.d.p. continuamente percossa, riuscendo a riportare tutti a casa...
Video inclinati
Ancora sulla scia filmografica di Michael Haneke. Nel 1993, il regista di incomunicabilità e alienazione post-industriale girò il suo terzo lungometraggio, tirando una linea sotto i “71 frammenti di una cronologia del caso”. A chiudere la cosiddetta “trilogia del congelamento”, lontano da guerre permanenti, i diffusi e apparentemente impercettibili segnali di morte.
Sogni fuori campo
Sabato scorso, con Elena al "Sivori" per l’ultimo Orso d’Oro, norvegese: Dag
Johan Haugerud, regista classe 1964, si è aggiudicato il premio berlinese col
secondo capitolo di una trilogia sulle relazioni personali
iniziata un anno fa. “Dreams” è un attento e sensibile studio della delicata fase puberale.
Sonny & Rico
Se i tratti distintivi di Michael Mann, per alcuni tra i migliori, sono "maestro dei film d’azione,
affinità psicologiche tra poliziotti e criminali, ritratti spesso con look alla moda.
Operatore di molte sequenze dei suoi film”, allora "Miami Vice", del 2006, ne rappresenterebbe la vetta artistica. La cosa è più complicata. Nonostante la comprensibile volontà di omaggiare la fortunata serie TV di 50 anni fa, cui contribuì pure lui, il regista di Chicago non può essere sempre Re Mida.
Biglie amanti
Un sabato di due settimane fa. Due messaggini con
Mino per una proiezione pomeridiana per la quale ha una proposta. Sobbalzo al
titolo “La maman et la putain”, Marigrade ne ha appena parlato!,
chiedendo “Jean Eustache?” (1938-1981). Lui conferma ed eccoci davanti alle
quasi 4 ore che, nel 1973, l’esponente di spicco della “post Nouvelle Vague”
si prese per attraversare la complessa volta delle relazioni sessuali. Un unicum
per impostazione, e durata, che, in maniera originale, traccia una curva emotiva che è precipizio di maschio sessantottino.
Agnelli OGM
Aspettavamo discendesse dal “Corallo” e così è stato. Inoltre,
annusato un autore che potesse solleticare anche i salofobi nel tunnel
dei “divoratori di serie”, istintivamente ne abbiamo convocati 2: Benza e Genna.
Conoscitori appassionati di Bong Joon-Ho, con disinvoltura dinanzi a “Mickey 17”,
senza stupirci della sua esplicita satira fantascientifica. Lo “svalvolo” eccessivo e disturbante è marchio dell’immaginazione critica del regista di Daegu.
Artemisia e aglio
Venerdì scorso con Elena al “Sivori”, perché “nelle
sale c’è un cinese…”. Che poi non era cinese e nemmeno è l’omonimo che “fa cinema
da 40 anni!”. Più umilmente, ma con maturità encomiabile da “Un
certain regard 2023”, Anthony Chen è un regista singaporiano, classe 1984, che col quarto lungometraggio “The
breaking ice” pone firma autoriale ai rapporti volatili resi celebri da certa
“Nouvelle”.
Soziale Symphonie
Settimana proficua. Grazie al pacchetto pagato a “PrimeVideo” da altri, lunedì speso con Michael Haneke. Ancora col regista “austriaco ti Cermania” che, nel 1997, tantopercambiare riuscì a scioccare il suo pubblico. Violenza e dominio, le ultime guerre insegnano, procurano “Funny games” a schiere di genti prive di emozioni.
Cine tarzan
Esausti anche dei desperados di “Chi l’ha visto?”, ieri sera ci siamo accontentati di un Brian De Palma non certo d’annata. Nel 1998 per il regista newarkese i giochi erano fatti. “Omicidio in diretta” (t.o. “Snake eyes”) ne è la prova, virtuosistica senza dubbio, ma, nonostante l’iperattività del protagonista, terribilmente vacua.
Ketchup & plastica
Inebetiti da un Michael Haneke preso un po’ troppo sotto
gamba…con Elena nella sala “Navetta” per capire cosa frulla sullo
schermo del grande (…) regista austriaco. Nelle immagini di “Benny’s video”,
suo secondo lungometraggio datato 1992, l’inspiegabile apatia delle opulente società
civilizzate.
Capitani persi
Anche la televisione, pure lei debitrice, ha voluto omaggiare
Gene Hackman. Su “RaiMovie” il suo Oscar del 1972. Con “Il braccio violento
della legge” (t.o. “The french connection”), anche William Friedkin, ormai
habitué del ‘Rofum, si aggiudicò l'ambita statuetta. Hackman ancora alla
prova con un poliziesco dalla foggia autoriale, sapientemente cucita dal
regista, dove il protagonista insegue, e colpisce, i propri fantasmi.
Ci sei dentro
Nelle sale un tributo a Gene Hackman da poco scomparso: rinunciamo all’unica uscita valida. In occasione del restauro per il suo 50° anniversario, “La conversazione”, del 1974, col quale Francis Ford Coppola si aggiudicò la Palma d’Oro: spy movie psicologico autoriale che lasciò angosciato sfogo all’attore californiano. Regia e interpretazione ineccepibili.
Rapaci e brandelli
Febbraio non era ancora finito che già eravamo tutti lì con SimonMi a sentenziare/scegliere “Se uno mi dovesse chiedere…direi Michael Haneke”. Il dodicesimo e ultimo lungometraggio del regista austriaco fu “Happy end”, del 2017: altro affresco agghiacciante, ma splendido, dell’incomunicabilità tra generazioni alienate.
Torce o fumogeni
Tra le nuove uscite in sala di ieri, una francese col volto
di Vincent Lindon. Pellicola sociale, quindi, che con Elena presenziamo con attenzione. Fanno il loro rigoroso ingresso nel 'Rofum le sorelle Delphine e Muriel Coulin (Lorient, 1972 e 1965). Xenofobie e razzismi di stato si insinuano nelle crepe di tutte le relazioni, anche familiari. "Noi e loro" (t.o. "Jouer avec le feu"), scrittura e regia encomiabili.
Ma io pensavo
Esaltato per Hong Sang-soo, con l’ebbrezza di correre in
qualsiasi sala per un sudcoreano recentemente conosciuto. Scelgo la nostra, dove “On
the Occasion of Remembering the Turning Gate”, “Porta girevole” per gli
amici (tra cui “Foglio”), porta a riflessioni su destino e intenzioni. Sesso. Desideri
e casualità.
Mio come me
Dalla coppia di registi iraniani Maryam Moghaddam, classe 1969 (“o 1970”) e Behtash Sanaeeha, una piccola grande pellicola, capace di colpire con carezze, di invitare alla vita con la morte. “Il mio giardino persiano” (2024, t.o. “My favorite cake”, per una volta l'italiana ha qualcosa in più: il privato): l’amore ai tempi e nei luoghi del totalitarismo. Dietro al fugace già sconsolato sorriso dell’individuo, un tremendo boato perfora i timpani dei responsabili istituzionali.
Riproduzione (in sala)
E' stato un onore inaugurare, dopo 5 colpevoli mesi, la Sala Navetta con nientepopò che Marco Ferreri. Non vedevamo il caustico e criptico regista da quell’assurda udienza del “2019”. Era ora di rituffarsi, a piccoli bocconi, nel cinema del milanese: quattro pasticcini da lanciare in faccia al “buon costume”, così vuoto, così sterile. "Marcia nuziale", del 1966, è il sesto film di Ferreri (terzo italiano).
Solitar vacanza
All’interno della categoria horror, il sottogenere shark è uno di quelli cui Elena oppone meno ritrosia. Per una sorta di sanomasochismo, chi non si allontana da riva più di 2,75 mt, trova nelle pellicole distese di mari cristallini frantumati da pinne e denti aguzzi, un piacevole lido. Anche sulle rive più remote, si trova di tutto. “Paradise beach” (t.o. “The shallows”, s.i. “Dentro l’incubo”, 2016), diretto da Jaume Collet-Serra, catalano classe 1974, non è il relitto che ti aspetti.
Scorbuto privato
La seconda firma dei western domenicali trascorsi è un certo Robert Wise. Due anni prima di Daves, anche il regista ben più celebre originario dell’Indiana decise di percorrere le polverose lande dell’Ovest per mostrare le conseguenze di una vita condotta agli estremi solitari. Dove, nel 1956, “La legge del capestro” (t.o. “Tribute to a Bad Man”) prendeva le viscere quando si trattava di proprietà.
Il lavoro debilita l'uomo
Domenica di recuperi. Dalla programmazione televisiva, due western nel mirino da firme che teniamo d’occhio. Come Delmer Daves
che, nel 1956, si ri-cimentò nelle sue abituali acque. Commedia "[brillante]" di crescita e amicizia, maturità d’un “Cowboy”: novellino irruento o
scafato cinico che sia. Avvicendamenti scontati e abbracci
colorati.
Stritola e prevale
Dalla parte degli oppressi, normale correre se vedi un
iraniano nelle sale. Con Elena all’“Ariston” (e un'altra coppia, mentre madre e
figlia saputa la durata “domani va a scuola” sono fuggite) per “Il seme del
fico sacro”, prodotto, scritto e diretto da Mohammad Rasoulof (Shiraz, 1972). Persecuzione,
repressione, un altro resistente non molla la cinepresa per raccontare la vita
in uno stato teocratico. Dovremmo trarre tutti gli insegnamenti…
Espropri democratici
Ieri sera abbiamo acchiappato il documentario che puntavamo da un po’. Yuval Abraham, reporter israeliano classe 1995, e Basel Adra, “attivista” palestinese classe 1995, hanno raccontato su schermo gli attimi della lotta dei palestinesi della Cisgiordania a difesa della loro terra. Oppressione e repressione non fermano la resistenza di donne e uomini dimenticati dal mondo. “No other land” mette in luce, per chi è ancora nel buio, la vera natura dello Stato israeliano, come di ogni altro, e del suo esercito. L’antico e violento colonialismo, risfoderato dagli stati dove e quando richiesto.
M il passato!
Ieri sera energie conservate per Hong Sang-soo, adocchiato tra le nuove
uscite di giovedì. Alle 21,30, nella minuscola “FilmClub”, oltre a noi due, un
trio lescano niente male. Ciarlieri...ma anche noi abbiamo pop-corn pronti per
il “Rohmer” sudcoreano. Molto di più, “Una viaggiatrice a Seoul” (t.o. “A
traveller’s needs”), è uno splendido cinema relazionale, quindi sociale. Gran
premio della Giuria a Berlino scritto, diretto e montato dal sudcoreano. Leggerezza e/o profondità?
NormaliStato
Con Elena al Sivori per il Walter Salles delle stazioni
centrali e per il cinema brasiliano. Doverosa Agenda, del 2024, “Io
sono ancora qui” si iscrive nel classico filone della testimonianza, sul colpo
di stato e dittatura fascista propri. Biografico che nulla potrà dinanzi al
prossimo scempio del Nuovo Capitale.
Corsa delle rane
Dopo tanto cinema mainstream, ieri sera, siamo tornati a chiedere a “Foglio” qualcosa di più ricercato, magari orientale, meglio se “antologico”! E l’amico sfodera il manifesto della “New Wave” taiwanese: “In our time”, del 1982, è un quadro poetico e accorato, scritto e diretto in quattro, sulla crescita e le sue scoperte: dall’infanzia sognante a quella età, ormai buffa, chiamata adulta.
Firmato: Tao Te-chen, Edward Yang, Ko I-chen e Yi Chang.
Firmato: Tao Te-chen, Edward Yang, Ko I-chen e Yi Chang.
Inesplicabilmente
Ottima partenza d’anno, con nuove proposte e vecchie mancanze. L’esordio alla regia di Michael Haneke, del 1989, era tra queste ultime. “Il settimo continente” è il non luogo dove sogneremmo di vivere, se fossimo ancora svegli.
Fantasie autentiche
Nelle sale l'ultimo del redivivo Robert Zemeckis. Ma torniamo a "Chi ha incastrato Roger Rabbit?"...
Soldati andati
“The hunted – La preda” è un’occasione come un’altra per introdurre il cicagoano William Friedkin (1935-2023) nel nostro “Cinerofum”. Il “regista del male”, scomparso lo scorso agosto, e che vanta Oscar per regia e carriera, in questo caso non innovò nulla, non svolgendo il suo compitino e copiando male dai banchi a fianco.
Credere che ma invece
Ma ieri sera, sarà stato il Barbera di Gavi, ci siamo
diretto verso l’VIII° arrondissement parigino, dove “La fornaia di
Monceau”, affascinante e sorridente, incarna la sbandata, la cotta, la scuffia, più o meno pianifica,
proprio dietro l’angolo. Nel 1962, tante idee pochi spiccioli, Éric Rohmer
iniziava con ironica letterarietà la sua indagine sociale. Via ai "Sei racconti morali": sono piccoli gli studentelli di città alle prese con la donna.
Imparare
Si avanza nel cinema americano, anche del “regista definitivo”.
Newyorkese, del Bronx, ha sentito l’odore della violenza. Nel remake “Cape
Fear – Il promontorio della paura”, del 1991 (risalita del regista),
Martin Scorsese posizionò la cinepresa nel punto d’urto sociale tra
giustizia e individuo. La tensione farà scintille, rosse di sangue. Un thriller
non solo psicologico…
Arte e amore
Tra i recenti DVD anche “Addio
mia concubina”, film che si pensa osé, invece si fa per Chen Kaige; che, nel
1993, era caldo dietro alla cinepresa. Quelli della BIM Distribuzione puntano,
comprensibilmente, sul nome di Gong Lee, invero non protagonista, che è il
teatro cinese. Affettato, sintetico, epico, insinuante, da “Palma d’Oro”, per raccontare
un’amicizia senz’apostrofo ai tempi di guerre e autorità.
Represión Amor
Dall’ultima infornata di DVD dalla teca di Marigrade,
alcuni titoli da cui si evince che si inizia a raschiare il barile. Buena
suerte, quando capitano pellicole interessanti. Come la “La vita è un
fischio”, del 1998, del cubano classe 1944 (!...) Fernando Pérez, qui
al 4° dei suoi 12 lungometraggi. Cuba braccata amava con coraggio per la
propria felicità.
Pronto, t'ammazzo
Come leggete, fioccano i defatiganti thriller televisivi. Un
modo come un altro per conoscere Bruce Beresford (1940), regista australiano capace di
Oscar e di “successi al botteghino bastonati dalla critica”. Anche se con
“Colpevole di innocenza” (t.o. “Double Jeopardy”), del 1999, l’esponente
della "New Wave" australiana può vantare un’ottima “performance femminile”,
lo stesso non può fare con la scrittura (intreccio e dialoghi): tagliato con
l’accetta.
Sotto a quei trucchi
Con l'inizio dell'anno si sono chiuse alcune filmografie cui il Cinerofum è affezionato. Tra le quali sta quella di Christopher Nolan, londinese ormai con esperienza trentennale dietro la macchina da presa. Mancava "The prestige", gioco fatale d'illusioni e trucchi, con le personalità che rimangono incatenate e ingabbiate dalle proprie passioni egotistiche. Impeccabile del genere.
Lotte coi brindisi
Cerchiamo di recuperare le recensioni perdute. Ma
vien voglia di partire da ieri, da quell’”Anteprima italiana al Nickelodeon”, sponsorizzata
nientepopò che da Marigrade. Con "Amerikatsi", del 2022, e la tagline, il regista, classe 1971, ormai più che americanikatsizzato, Michael A. Goorjian, si permette di suggerire al popolo armeno che “La libertà è uno stato mentale”. Come se le vittime dei genocidi, quello del Nagorno-Karabakh / Artsakh (a quando Syunik?), o
quello di Gaza, potessero combattere strizzando l’occhio al secondino. L’aria
è immobile a tutte le latitudini.
Piccole crescono
Durante le festività cavalcanti l'anno, è gioco forza 4 accogliere senza filtri i suggerimenti televisivi. Vuoi perché perché c'è scritto Oscar, o preferisci perché leggi Elizabeth Taylor (dodicenne!). Anche l'occasione per conoscere...ops rivedere!, Clarence Brown (1890-1987). Ancora l'"Oberdan" di Milano riempiva le mie serate, anno 2013, quando incontrai questo regista del Massachusetts, ricordato per le sue pennellate sul grand e schermo, in grado di esaltare il fascino di paesaggi e personaggi. "Gran Premio" (t.o. "National Velvet"), del 1944, lo testimonia.
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