Venerdì scorso con Elena al “Sivori”, perché “nelle
sale c’è un cinese…”. Che poi non era cinese e nemmeno è l’omonimo che “fa cinema
da 40 anni!”. Più umilmente, ma con maturità encomiabile da “Un
certain regard 2023”, Anthony Chen è un regista singaporiano, classe 1984, che col quarto lungometraggio “The
breaking ice” pone firma autoriale ai rapporti volatili resi celebri da certa
“Nouvelle”.
Cronaca: la “FilmClub” alle 21.15 si svuota di visi provati dall'orrido di coloni israeliani…ed entriamo, Elena ed io, nella sala deserta. Un certo sguardo lo
volgiamo fiduciosi alla regia musicale mostrata nell’incipit elegante e melodioso.
Ricorrenze feste danze, intermezzi d’una Salute Mentale, cui gioverebbe solo un’istintiva
tenerezza. “Sei libero stasera?”, per non sentirsi soli, bere un po’…Gli anni
di platino, in moto sempre in tre, tra note note e attimi logori di spiriti
liberi (il furto, il labirinto di ghiaccio…). A parte le serate al club,
o proprio per, è un film dalla fotografia fulvida, sfavillante. Il ritmo è
quello dei respiri dei tre protagonisti. Natura benefica e silenzio ristoratore, per solitudini in cerca di contatto, spingendo il cuore oltre l’Arirang. Cazzo, tutti piangono,
ci deve essere un problema, un nodo: difatti se ne va, chi non batte chiodo…
(depa)
(depa)
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