Sabato scorso, con Elena al "Sivori" per l’ultimo Orso d’Oro, norvegese: Dag
Johan Haugerud, regista classe 1964, si è aggiudicato il premio berlinese col
secondo capitolo di una trilogia sulle relazioni personali
iniziata un anno fa. “Dreams” è un attento e sensibile studio della delicata fase puberale.
Scale e nuvole, voce fuori campo. Cirri e cumuli e danza. Sogni contro
stereotipi. Apropos de voz: non pare la struttura da Orso
del 2025. Ma quando uno pensa che si imponga la dimensione individuale e
soggettiva (“pensieri e sogni”), le amiche le parlano, si informano…poi
consigliano un’app. Allora, i libri sono davvero peccaminosi! E come da
un libro-diario paiono essere estratti i desideri e i timori della
protagonista. Ma con mamma e USB si svolta. L’inadeguatezza genitoriale
iniziale cede il passo ad un approfondimento, che è avvicinamento. La nostra è
sicuramente fortunata. Il bigottismo di fondo, ancore ineluttabile nelle prime
reazioni istintive, viene rimescolato dalle successive riflessioni. Mentire.
L’attraversamento notturno della città risulta scontato e pretestuoso. D’altro
canto, splendido il thè dall’atmosfera nabokoviana. Ma è subito, dopo,
quando la monoverbosità esplode in boato, che s’intravedono stralci di
corda. Al dialogo tra “visual designer” e la madre, s’insinua la vena
manipolatoria della pellicola (3 su 3). Ma la regia resta efficace: fotografia
nitida, vivida, musiche pronte e coinvolgenti, puntando poi tutto su acutezza e
originalità dell’analisi soggettiva (“queer”).
Tocco pastello sugli amori impronunciabili e silenziati. Che ognuno sogni i
propri angeli.
(depa)
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