Ancora sulla scia filmografica di Michael Haneke. Nel 1993, il regista di incomunicabilità e alienazione post-industriale girò il suo terzo lungometraggio, tirando una linea sotto i “71 frammenti di una cronologia del caso”. A chiudere la cosiddetta “trilogia del congelamento”, lontano da guerre permanenti, i diffusi e apparentemente impercettibili segnali di morte.
1993, mentre i sostenitori di Gamsakhurdia (1939-1993) attaccano le città e in
Somalia la crisi si fa acuta, lo studente diciannovenne Maximiliam B. entrò in banca sparò tre colpi, poi, in macchina, un ultimo per sé. Sullo sfondo,
anche Haiti, gli scontri di Port-au-Prince. Prima di tutto, le guerre. Giusto
il tempo di passare da McDonald e Coca-Cola. Progetti di rapina, di fuga. 71 tessere
del crimine, nel domino omicida e suicida. Apatia, distanza emotiva e sociale:
l’economia. Automi esausti, vieppiù nello sport. 1993, Ulster, PKK in azione.
Tutto ciò avviene sotto gli occhi di tutti. “Pension” (“casa
di riposo”). Soccorso presso la polizei. Gaza, Libano, ex Jugoslavia.
Incastrare i pezzi nella corretta combinazione, risalendo alle Croci, non
sarebbe impossibile. Natale 1993, ancora sotto le bombe. Sequenze a minimalismo
spinto quanto elegante (Bress-Kau). Il destino non può che essere tragico. I
motivi delle stragi, solo notizie tra le alte, non sono così misteriosi...
Ritornando alle chiacchiera con Marigrade, a proposito del moralismo di Haneke, questa pellicola forse ne mostra il lato più visibile. Schiva il futile determinismo (il profugo non è georgiano…), ma rileva nella guerra onnipresente, ad alta intensità, che brucia in focolai ormai videodocumentati, una delle cause della mancanza di empatia, di affetti, di ragionamento e consapevolezza, che genera il gesto disperato.
(depa)
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