Cine tarzan

Esausti anche dei desperados di “Chi l’ha visto?”, ieri sera ci siamo accontentati di un Brian De Palma non certo d’annata. Nel 1998 per il regista newarkese i giochi erano fatti. “Omicidio in diretta” (t.o. “Snake eyes”) ne è la prova, virtuosistica senza dubbio, ma, nonostante l’iperattività del protagonista, terribilmente vacua.

La disneyanaTouchestone pictures” minaccia tuoni e tempesta (tropicale). Sotto il diluvio, all’Atlantic City Arena, un imbolsito campione mondiale Tyler si gioca il pesi-massimi. Il detective Nicholas Cage, che saluta sempre con “Ciao, piccola!”, ama le scommesse: è sotto il ring per questo. Intreccio semplice (“Northfalk test”), dialoghi uguali [ora lo chiamano “entusiasmo” (per una rossa ustionante)], recitazioni su di giri, non solo Cage che, “pazzo esagitato” dice Elena, si porta a casa il cedolino. I vorticosi piani sequenza, marchi del regista, non vengono interrotti né da gong né da KO. In vetrina De Palma pone tutto: split-screen, inquadrature in soggettiva, sino al thrilling finale, canoni hitchcockiani consultati, a ricordare che il quarto potere non si chiamerebbe così se non fosse un tutt’uno coi primi tre. Le immagini stanno da sole, grazie a fotografia e scenografia pop accattivante. Manca l’intrigo ad ampio raggio: le armi a Israele ormai sono scontate. Morale: in una società di compravendibili, quando politici e militari “sotto pressione” scazzano, vince quello armato.
(depa)


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