Scroccando su “PrimeVideo” per approfondire Michael Haneke. Passando, appunto, anche per la TV, ambiente sperimentale caro ai “nuovi registi tedeschi”. Nel 1997, il regista vivente dell’alienazione celebrò Kafka con la trasposizione del suo romanzo più calzante: “Il castello”.
I toni secchi della burocrazia. Rimanere in attesa…eseguire le istruzioni. Il castello è un avanzare illusorio. Ci sono due agrimensori di nome Arthur. “Un vile malinteso”, dove non si respira e ci si perde. Letterario, ovvio. Klamm, “prezioso e venerabile”, e la gente del paese. Tra atti e decreti, storia di un agrimensore, basito, tranquillo. Vili e birra, K. Non capì. Ruoli, funzioni, Barnaba!, ambasciate. K è lì e H. come lo fa? Alla grande, così. “Dosi miserabili” in mezzo ad un eccesso di Klamm. Accorgersi di nulla, “sperare di raggiungere il castello”, “per il nostro avvenire!”. Ai percorsi inattesi, al Signor K. e ai corridoi. K. ha sonno ed Elena come il “pubblico funzionario”. “Rated 18+” incomprensibile, o forse proprio perché?
Tosto oltremodo, sempre più paura del lupo.
(depa)
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