Tutto è partito da un riso basmati, con verdure e uovo. Siamo rimasti là. A disposizione, un film coi sottotitoli reperiti, che chiude le
proposte di “Foglio” provenienti da quel paese che, cinematograficamente
parlando, tanto ci ha dato. Hong Sang-soo non ha bisogno di presentazioni. Nel
2017 realizzò “On the beach at night alone” una lenta maturazione, ad
alta gradazione, sui ruoli impersonati.
“La prima città dove vivere” è una buona candidata per cambiare aria. Ma da
che? Lentamente, le parole compongono il puzzle, in cui è frammentato il cuore
della/e protagonista/e. Sono due le donne che inizialmente rielaborano distanze
e distacchi, desideri differenti. Una passeggiata al parco, dalla “Casa delle
fiabe” (chiusa), per dar libero sfogo alle chiacchiere sui maschietti. E
pregare improvvisamente “per un mondo che si adatti a me” (“E di essere forte!”…).
Niente di che, riflessioni semplici quelle di Younghee, venuta al mare e
ritornata dopo un esilio fedifrago. Ma sono tante le menti ridotte diversamente.
E si può pur sempre parlare di cibo. Rohmerianamente “annaspare nei pensieri”, “inadatti
ad amare” e...“muori con grazia!”. Rilassarsi dinanzi a un lavavetri invisibile,
sino all’inevitabile resa dei conti (ex). Ecco Younghee (Orso d’oro a Kim
Min-hee, Seul 1982), col suo lato tormentato e distruttivo. Diviso in capitoli,
presentati da musica classica su buio coi nomi degli interpreti, con gli zoom
come disinvolti 5° movimenti, “il soggetto non è importante!”, ma i rimpianti
sì. Elena esausta di fronte a questa “nouvelle vague sudcoreana” e non nascondo
di aver vacillato dinanzi all’impalpabile cottura.
(depa)
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