Ieri sera, nonostante le temperature calmate, la
stanchezza la faceva da padrona. Un film con Silvester Stallone dovrebbe
assicurare una certa leggerezza che, alla peggio, può trasformarsi nella
più trascurabile pesantezza. E’ chiaro che abbiamo visto "Johnny Bobo" (t.o. "Bullet to the head", 2012) soltanto per Walter Hill, qui tornato
pedissequamente ai buddy movie che lo resero celebre nei pressi degli angoli
gialloblu dei supermercati. Altrettanto lampante che, anagrafica e
professionalità, possono intersecarsi ottusamente.
Da una graphic novel francese, un polar d’autore stanco. E non
sarebbe nemmeno male la regia dell’allora settantenne regista californiano,
così alla ricerca dell’effetto visivo (i fari delle auto), talmente attento a
non perdere tempo inutile, consapevole che l’atmosfera sia tutto in presenza di
niente. Ma come sorreggere un intreccio così scontato, con tutti i ruoli a
posto, buoni e cattivoni che pronunceranno la frase attesa? In che modo
coprire con la cipria un cast di attori in difficoltà, dove il più
anziano, Stallone, è il meno peggio? Non si può.
(depa)
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