Il 2025 verrà da noi ricordato, anche, come l’anno in cui approfondimmo la conoscenza di William Friedkin. Da un bianco e anonimo DVD trovato in “Santa
Brigida”, l’ultimo film del regista dell’Illinois scomparso nel 2023: “Killer
Joe”, del 2011, è un testamento cinematografico invidiabile. Dall’opera
teatrale omonima, datata 1993, scritta nonché adattata dallo statunitense
classe 1965, Tracy Letts, un cupo thriller accattivante e ben ritmato. Sullo
sfondo marginalità e degrado, che generano affari sporchi, perversi, non così
dissimili da…
Killer Joe dopotutto è un professionista. Il suo cinismo è quello dell’efficienza,
lo stesso disumano in nome degli 0 prima dei $. La presentazione di Joe Cooper
montato, splendida, montata non senza ironia. Senza sentimenti né rimorsi, non
solo il killer, il poliziotto, ma ogni individuo attorno. Sbirro non
così anomalo in un film eccentrico, allucinato, riuscito. Graffiante, provocatorio,
disturbante con lo sbirro pedofilo interpretato alla grande dal “romantico”, texano
classe 1969, Matthew McConaughey. E da tutto il piccolo team di attori, valorizzati al massimo da Friedkin: i
californiani Emile Hirsch (1985) e Gina Gershon (1962), veri indiavolati dalle
striature differenti. Infine la londinese, classe 1989, Juno Temple, perfetta
nel ruolo dell'ingenua stralunata. Grandi contrappunti, fiamme e risate,
animazione e morte, candore e depravazione. Ancora Friedkin, come altri colleghi
della “New Hollywood”, a sondare le perversioni nazionali. Ma i ripensamenti
hanno un prezzo. Fotografia, musiche (il californiano, 1956, Tyler Bates) e sonoro,
con l’indimenticabile Zippo di Joe. Avidità e codardia, elementi fondanti e
devianti delle nostre società, portano al crescendo di violenza con cui l’agente
di Pubblica Sicurezza pretende, giustamente, un compenso per i suoi
servizi.
Finale meraviglioso.
(depa)
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