Ormai è Elena che spinge. E' lei che comanda, ancora, Aki Kaurismäki. Il quinto film del dolce, caldofreddo, autore finnico ribadì i cardini del suo personale stile. Secondo appuntamento coi perdenti, personaggi rosa e neri per un giorno: un'altra goffa rivalsa, finita bene. Con "Ariel", del 1988, Kaurismäki rodava.
Contorno della visione, il consueto (?) corto. Stasera videoclip del 1992, "Those were the days", dalla traccia russa pelledocadroma di Boris Fomin, che travolge con l'impassibile entusiasmo dei Leningrad Cowboys. Poi Matti Pellonpää abbassa il ciuffo, deve lavorare anche stasera...
"Miniera chiusa. Ingresso vietato". "Vattene! Qui ti ubriacherai...". Sulla cadillac di rocky di Leningrado, si attraversano le intemperie. Il tergicristallo dei misci, lo senti. L'aggressione, l'agguato, tappa obbligata nei percorsi resistenti dei suoi ultimi. Maldestri sfortunati. Cicche usate, manco da accendere. Il suicidio dell'ex-collega. Nell'eterna notte dei soli, ancora inattese scintille di calore. Carcere (isolamento). Di nuovo, da dietro le sbarre una fonte d'illuminazione contro i soprusi fuori ("Take the money and run" è un consiglio ispirato). In Kaurismaki, la pistola cade prima della rapina, i soldi appena dopo, i dimenticati si prendono la scena. E, per finire, sarà sempre una nave ad allargare l'orizzonte dei sogni (il Messico non è Tallin). Visto oggi, spulciata gran parte della sua filmografia, può sembrare più debole di altri suoi lavori. Ed è così. Le "Ombre", due anni prima, erano già splendide; con questo, il regista sondò le innocenti evasioni, proprie e dei suoi delicati determinati protagonisti.
(depa)
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