Una proposta che arriva dal Foglio diviene nota preziosa. Quella del regista turco Metin Erksan (1929-2004), che nel suo taccuino, nel 1964, annotò "Orso d'oro" al Festival di Berlino. "L'estate arida", tra le poche pellicole espatriate, ha tutte le caratteristiche del capolavoro da premiare. Fotografia cesellata quanto scattante, scrittura solida senza coup di testa. Solo magistrale uso del mezzo cinematografico, diretto con acume nella direzione voluta.
Labbra s'aprono per l'indimenticabile incipit, a dorso di mulo tra i vicoli del villaggio sbiancato dal sole. Non solo esercizio di montaggio, ma pulizia registica, quasi sonora, dell'autore turco.
Acqua di tutti, diviene un diritto...il danno è fatto. "Osnam ha perso il senno" e non è stato l'ultimo. O è lui il vecchio saggio, chissà? "Non siete uomini se non vi organizzate". Certo, ha il suo carattere, i suoi modi; un provocatore sano. Intanto, davavekili e hukumet incassano. Carica emotiva che non cala. Prendersela coi più deboli (cani), un classico.
Hassan alle prese colla tracotanza del fratello. La moglie Bahar, colle sue repressioni. Fratello a dir poco ingombrante (invadente). Ulvi Dogan, 1931-2018, dirompente, inarginabile. Sguardi e spiate furtive pregnanti. La brama sale. Il corpo a corpo, bastoni e accette, pazzesco (un po' alla orientale, buccidiokan). Giocare a moscacieca con gli spaventapasseri. Solo nel suo "castello", Osnam, divorato dal desiderio.
Regia poderosa, elegante e originale, capace di scandagliare le emozioni, con profondità, non senza ironia ("Ce l'ho io la soluzione...gliela paghiamo!"). Tutto meraviglioso, compreso il finale, macabro sopraffino.
Ma...altri di Metin?
(depa)
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