Nevada Express

Cavalcando per il Lontano Ovest, lo sapete, ci si può imbattere in chiunque. Abili mestieranti, immersi nella boscaglia innevata, a raccontar di soldati e indiani, politici avidi e agenti incorruttibili. Nel 1975, fu Tom Gries (1922-1977) ad assumersi l'onere d'un affettato western giallo, con vari assassinii sul Nevada Express, e cento piccoli indiani minacciosi. Il risultato, "Io non credo a nessuno" (t.o. "Breakheart Pass") non è tutto da buttare.
Il regista chicagoano, che faticò sul Grande Schermo per riabilitarsi sul piccolo, in quegli anni ebbe la cassa per un film spettacolare, prodotto "M.G.M" ("United Artists presents", dal cast ben assortito. Pure troppo, condizionando un assembramento pericoloso alla partenza del poco confortevole viaggio in treno. "Starring Charles Bronson" e Ben Johnson e Jerry Goldsmith alle musiche fondamentali (oltre che produttore).
Un po' di confusione, sfilacciamenti che le solide rughe di Bronson tentano di rintrecciare. Il viaggio sul treno dell'azzardo, a tutto vapore. Siamo a "Myrtle", dove è in preparazione un benvenuto. "Mano bianca", divisa rossonera, è nel catering. Indiani al varco, agenti indiani, zampini di sceriffi, en passant, stragi dai botti micidiali.
Bronson un po' a salve, nel personaggio principale che avrebbe potuto avere ben più spessore, "si sa cosa non è, ma non cosa è", baro non violento (incendiario) ricercato, esperto in indagini. Uno sbirro, dopotutto. Quindi indiani cattivi, "arrivano i nostri" (fiocchi gialli), un ritardo perdonabile solo per il ritmo. ­
(depa)

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