Azadî

Convinti sia il percorso giusto, vagando con metodo nel cinema del passato, in cerca di novità. Voltandoci, sguardo nel Foglio retrovisore, alle grandi firme turche, si scorge ­"La strada" ("Yol"). Palma d'oro 1982, scritto e diretto, dalla cella del carcere, da Yilmaz Güney (1937-1984). Pellicola unica, andamento e poetica sopraffini, un racconto della memoria che, da quello dei curdi, arriva a tutti i genocidi.
Restaurato "nella sua patria". Le molte facce della tristezza. "La bellezza e l'amore". IMRALI prigione aperta. Una nota di fondo che preoccupa, che non cesserà. Poi la pellicola viaggia a ritmo serrato. Su legge marziale, discisplina, carceri aperte o chiuse. La gioia per i permessi d'uscita. Di corsa a casa. Urfa, Adana, Konya, Dyabarkir....
Quasi sempre musicata, splendidamente, dal duo Sebastian Argol e Zülfü Livaneli (note lunghe che ricordano Jarre o Moroder). Il fuoco dentro, un amico, una rapina. La verità, "difficile da accettare", la paura. Gazianteh. Uscite che divengono permesso di ricordare, dolori e gioie. Stato di polizia democratico, nella deliziosa fotografia di Erdogan Engin (colori). "La paura domina" ("e se sei curdo..."). I bambini di Dyabarkir. A lungo compassata, capace di scatti da puledro libero, questa suggestiva pellicola si serve di un montaggio originale, a tratti sincopato. Come i morbidi e acuti flashback, incastonati nel racconto.
Soprattutto dolori. Meraviglioso.
(depa)

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