Aveva ragione

Un western che potrebbe fare il paio con l'ultimo di Walsh è "La terra degli Apache" (t.o. "Walk the proud land"), del 1956, di Jesse Hibbs. Da poco conosciuto, il regista mi lasciò una discreta soddisfazione, ora dissolta colpa d'un intreccio pedante e noioso. Dove sì, l'integrazione viene ipotizzata ma, si badi bene!, declinata in razza bianca e cristiana.
La "Universal Pictures" presenta "In Cinemascope" ("Printed in Technicolor"). "La vicenda di questo film è vera". 1874. Tucson. Scalpi d'Apache. Figure religiose, quaccheri, preti, chiamateli come volete. "Agenti indiani", sindacalisti delle riserve. A Geronimo, nella sua "Arizona", girano parecchio. Il pacifista, realmente esistito, chi ne dubita, si darà da fare. Se si raffronta con "Far West", di otto anni dopo, affronta il tema del razzismo più decisamente, senza spendere inutili parole in cameratismo. Ora et labora, zitto e mosca, "Lavoreranno e compreranno cose all'emporio". "E' una buona cosa", rispondono i capi indiani, ben inseriti, di Hibbs. Il catechismo di frontiera, "il mondo è dell'uomo bianco ora, devi imparare a vivere con lui", ammorba i dialoghi. Alla lunga, però, i consunti sermoni stufano. "Un bianco ucciderebbe un apache che ruba; noi siamo ancora selvaggi..."[quindi non lo facciamo]". Sfuggito un rutto (difatti li lascia fuori dai saloon). Bella ribellione, manco iniziata, w le sbornie! Il nostro eroe sorriderà nell'incatenare Geronimo e i suoi.
Pellicola debole, nonostante le energie, le spese infuse. Anche con l'allora venticinquenne Anne Bancroft, già grinta diferente, rimane un western verbosamente classico (pure gli insegnamenti biblici di Gedeone, dai).
John Philip Clum (1851-1932), un deficiente.
(depa)

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