Puntare su Tsai Ming-liang è stata la fortuna degli ultimi tempi. Più scavi, più scopri. Pellicole differenti, dalla foggia variforme, ma dai punti nodali della sua poetica sempre stesi lungo spunti di gran cinema. La sua quinta opera, "Che ora è laggiù?", del 2001, ribadisce l'amore per la crudele lievità della Nouvelle Vague e conferma la personalissima visione del cineasta della "Città dei Gatti", così appresso alle distanze.
"Con Jean-Pierre Léaud", che cerco come Wally. Indicazioni agli spiriti ("Ci vediamo dopo il tunnel"), disvelamento mistico, la scaramanzia mors vivente dell'individuo. Rotoricamente truffautiano. Coi giorni repressi alla ricerca di affetti, energia, vita. Paris, città d'altri rumori. Chi può essere seduto al cafè? Il "promemoria radiofonico per la sicurezza stradale"! L'orologiaio matto! Il maniaco del sesso a ore, orale, insomma ora! Vuol dire confondere il pranzo colla cena. Nella fotografia impeccabile, il consueto appagamento visivo. Punti di riferimento, coordinate. Jean-Pierre, sempre occhio vivo, sorriso improvviso. Provvisorietà che affretta sospende i rapporti. Chiusura poetica, buddhista dentro, con dedica al padre.
Questo è cinema.
(depa)
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