Difficile trattenersi dal seguire Tsai Ming-liang, lungo la sua incoraggiante filmografia. Dopo l'esordio raffinato, un Leone d'Oro pure troppo e un'impietosa quanto dissetante macedonia pornosociale, ho incontrato l'autore malese attraverso "Il buco". Pellicola stupenda, del 1998, tesa d'angosciosa distanza, la quarta opera racchiudeva già tutta la sua originale poetica.
"E' troppo tardi, l'epidemia si è diffusa...E se fossimo portatori del virus?...Il governo è penoso...Interrotta raccolta dei rifiuti". Vero che è "catastrofico", catastrofico che è vero. "Comportamenti ipocriti, dovevano difenderci..." Acqua assillo permanente in chi l'ha persa tra le mani. Presente il nostro attonito, Lee Kang-sheng, in mutande della colonia. Piovono rifiuti dai piani alti. Ritorna l'arte degli spaghetti istantanei, come anche i galletti a saltellare, sul rigenerante calypso condominiale. Ancora sbronzi. Vomitare su quelli di sotto, capita (Racco?). Immagini ricamate da una fotografia insospettabilmente ricercata. I monolocali isolano, la profondità di campo allontana. Pioggia perenne, acqua inutilizzabile, l'assurdo ha contaminato l'ambiente. "Febbre taiwanese", "comportamento da scarafaggio", distanze confinanti, individui atomizzati si intravedono. Un bel casino. Nelle metropoli evacuate, l'unico Dio è la tizia, il tizio, del piano di sopra.
Quindi, è questione di scarafaggi, o di Tsai. Capolavoro.
(depa)
Quindi, è questione di scarafaggi, o di Tsai. Capolavoro.
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