Legge proibisce

Emozioni Cinema. Serata "facile", quella organizzata nella sala Valéry più viva che boh. Vince a mani basse causa gratia John Steinbeck, James Dean, Elia Kazan e "La valle dell'eden" del 1952. La pellicola, del 1955, trionfa senza spinte né retoriche (ma broadway gremita). Testo immortale, regia solenne, la prima trepidante prova di James Dean. Cal in persona. Ma non solo. Un frammento che può ingigantirsi all'infinito.
Doverosa l'"Ouverture" per la splendida Mendino, mille anime sospese sul Pacifico, valle di Salinas. Salinas, nome che agli steinbeckiani fa bollire le orecchie. Poi, da subito, sontuosa, l'opera di scrittura da parte Paul Osborn. Il soggetto si concentra, sulle ultime bibliche pagine del grande romanzo. Scelta matura, partire da quel preciso momento, Cal che pedina Lei e sosta in quel giardino (riconoscimento indiretto al capolavoro letterario: scontata una sua conoscenza comune). L'intensità del racconto spremuta nella figura dell'irrequieta leggenda; ma è innegabile che, senza sapere il passato di Kate...Ad ogni modo Jim prosciuga la scena, come un grande urlo. James Dean che ti chiede "ti prego, andiamo". Ouh. "C'è forse una legge che proibisce...?!". Sempre. Ovunque.
Le inquadrature, solenni a dir poco, di Kazan (come fosse ancora sotto accusa davanti ai portuali anti-maccartisti di Hollywood). Le sue zone d'ombra, quelle appunto. "Va bene, allora mi metto a dormire qui". Quindi succede, dimenticarsi Caleb e non vedere che James. Shakespeariano dentro, Stanislavskij e l'Actor Studio dello stesso Kazan all'apice. Le sue memorabili improvvisazioni, geniali perché efficaci, collegano finzione e realtà (leggi dopo). Uno potrebbe chiedersi che ne è di Aron, ma lo caccerei. Voglio Cal, ragazzo insicuro, solo, sempre in lotta. Voglio Dean, eterno ragazzo, autodeterminato, pieno a bomba d'amore, ma senza controllo. L'ipocrisia di un padre, che non accetta che il figlio concluda gli stessi business, può incrinarne le visioni. Il deflagrante stacco generazionale acuito dalle macchine ad alta velocità. Paura e delirio a Las Vegas, altalene pazze, "Non lo so".
Negli extra del DVD della preziosa Marigrade, la profonda intesa tra scrittore e regista (sì, anche un'intervista fugace all'arcigno Steinbeck, alla prima del film). Nessun timore sulla pellicola, per il Nobel statunitense: passava sul set e andava al bar. Poi le componenti autobiografiche dell'opera, condivise da entrambi gli autori. Ma, soprattutto, la giusta inquadratura del complesso attore che, con tre pellicole e uno schianto (proprio all'estremo sud della Salinas Valley), balzò nel firmamento del Cinema ("Per sempre James Dean", diretto dal suo fan giapponese). Perle come James Dean che stuzzica borbottando spergiuri dinanzi al bacchettone Raymond Massey. O che lo abbraccia senza copione. Massey era autentico Adam Trask. Correva da Kazan, "dagli una regolata, metti a freno quel giovane indisponente!". Il regista e l'addetto alla fotografia, Ted McCord, che si guardano bene dall'intervenire...
Folgorante esordio su grande schermo per l'introverso e sfortunato attore, che combatté solo contro se stesso (non è poco). Cazzo, per un'inversione senza senso. Dall'Indiana, nel 1931, "Appeal, attitude" rare. Al cinerofum, ne manca ancora uno, l'ultimo. Ma già adesso chiudo con l'immagine di James Dean che, al termine delle riprese, viene sorpreso in lacrime da Julie Harris: "E' finita!'".
Per molti motivi, quindi, questa pellicola è arte e vita. Cinema.
(depa)

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