E se prima eravamo in due a guardare Lanthimos...adesso siamo con Mino che ci passa l'esordio, da solista, dell'allora trentaduenne regista ateniese. Nel 2005, Yorgos Lanthimos irruppe col suo dannato e inforcatore cinema che piazza sul proscenio 'sta carne umana andata a male. "Kinetta" non punta il dito, ché non c'è più nulla da additare. Estremo e acerbo.
Era dai tempi di Antonioni che ci capivo così poco. Ahah. Scherzo, o no? Già algida metafora delle relazioni umane, Lanthimos, figlio della sua Grecia dei suoi tempi, analizza al microscopio dal vetrino rotto distorsioni e devianze sociali. Qualcosa di irricostruibile. Inspiegabile. Il cinema degli arcani disvelamenti del regista ateniese progredisce in disgregazione. Cinema che incalza, pressa, ma sguarda orripilato. Cinema fisico, corporeo, doveroso cogli incalzanti transumanesimi. Regista che fa male e lo fa bene. Gli individui corpi estranei, pressocché muti, nelle recitate esistenze meccaniche. Pellicola sporca d'estrema pulizia. Inquadrature oblique, primi piani mancati, inquietudini silenziose. Abuso di potere, con lo squallore attorno. Abuso di sguardo, di occhio, di videocamera (di Cinema). Lanthimos sfida l'immagine, tenendo con essa un'estenuante lotta di resistenza.
Bellissimo. Troppo tardi per comprendere l'accaduto.
(depa)
Nessun commento:
Posta un commento