Strepitoso, non strano, questo finale di 2021 tra i grandi autori. Ieri sera l'ho passata con Ingmar Bergman. Nel 1968, il regista svedese, già acclamatissimo, pose in celluloide i suoi splendidi fantasmi di artista, in un terrifico e angoscioso affresco: "L'ora del lupo" fa tremare i muri.
Il ruggito della "MGM", ancora una volta, annuncia tensioni forti. Le ultime vicende del pittore Johan Borg, fuggito su di un'isola deserta, per poi scomparirvi. Isola Baltrum, "la meno estesa e popolata", nelle Frisone Orientali (GER). Dalla moglie Alma, e dal dagbok del marito, che lei scoprì già prima del fattaccio ("per sapere il perché"), i racconti delle ultime visioni del marito. Max Von Sydow...rumori di scena..."Tutto a posto con le luci? - Sì! - OK!...Silenzio...si gira...Motore!".
L'arrivo, le prime brevi gioie, presto le ore inquiete, il declino è intrapreso, la caduta pronta. Col tocco degli autori il bestiario che circonda l'artista (l'arte). Antonioni, Polanski, già detto Fellini (Max è il Marcello svedese). Personale ed autobiografico, tra feticci di feticci e "Studi sui volti", sul grido soffocato dell'artista, dinanzi all'"inadeguatezza dell'umano", ancora "l'impulso, che rimane". Disperata distanza: è "L'ora del lupo". L'esatto istante in cui salgono i tormenti dalle tenebre...Alma stanca morta, "Alma mai ambigua"...L'ora perfetta per ombre di scogliera, il momento ideale, per allucinazioni e perversioni. Il delirio di una passione repressa può forgiare uno psicodramma "dal testo semplice, ma che raggiunge le vette dell'arte". "Veronika...". Siamo pagliacci, sempre in scena: lo specchio si spezza. Anche senza 3 spari; bastano i "mangiatori di uomini".
Nessuna allucinazione, quindi.
(depa)
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