Vecinos sin aire

Sale chiuse, Il Cinerofum mai. Ieri eravamo in quattro. Due Elene a lato dello schermo, Pablo Larraín al centro. La proposta viene accettata. "Post mortem" (2010), terzo lungometraggio del regista cileno, sarà. Ed un metallo gelido, splendido sgomento, ha percorso la "Valéry"...
Si è tra cingoli, sotto i cingoli, verdemilitare virante al viola-blu. Un avvio che pare perfetto, poi non ti accorgi della sua soluzione. Cura dell'immagine e della sua tensione che, come vedrete, rimarrà intatta. Fotografia magistrale, siamo esattamente al centro della sospensione del tempo. La fine di tutto. Seguiamo la macchina da presa a presso del protagonista, l'allucinante tragitto verso l'amata Nancy Puelma. Area irrespirabile, società decomposta, marionette scheletriche affollano gli uffici. "Ahora tengo un cargo". Il teatro degli orrori nel suo allestimento più sontuoso. Allo Stato spuntano gli artigli. E' un istinto di guerra. Ciascuno preda e predatore. Un abbaiare costante avverte d'un terreno rivoltato. Il Pubblico non è più.
Osanna Alfredo Castro. Al santiagheño classe 1955, Il Cinerofum porge la sua statuetta fatta di niente, ma piena d'emozioni. Filo rosso dell'alienazione con quello blu dell'ironia: la detonazione fa male. Da vomitare, correre, gridare.
Oppure come tutti: ammazzare.
Non solo maestria estetica. Questa scrittura è grande letteratura cinematografica. Il gioco di disvelamenti. La bellezza e il sottile segno dei dettagli. I gesti sono pustole, escrescenza d'una volontà  infettata, vitalità in cancrena. Un titolo che chiosa da brivido.
A braccetto col precedente allucinato ballerino, queste due opere mi spiegano il folgorante successo del cineasta di Santiago del Cile. Indubbiamente assopito dalle nenie hollywoodiane, ma, d'altronde, risvegliato lucido e pronto, col suo ultimo lavoro.
All'unanimità, secondo la conoscenza di ognuno in sala, il miglior Pablo Larraìn visto.
(depa)

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