Ultima sinfonia

Ultima opera di Andrej Tarkovskij, del 1986, "Sacrificio" ne incorpora la maestria di sempre, la speranza che vien meno. Oscurati e oppressi dal terrore atomico (quanto tempo!), pellicola e protagonisti, si disperano nell'angoscia, come un isola abbandonata.
"Svenska", titoli di testa da 4'30'' come t'aspetti da Tarkovskij. "Offret", non-ordet, ora dolorosa dell'intellettuale, più che teologie danesi. Il principe Alexander, giornalista e critico letterario e saggista si rinchiude sull'isola di Bergman. "Tutta la vita non ho fatto altro che aspettare qualcosa", quasi come Vasco. "Paura, forza, sopraffazione, dipendenza", voilà le progrès! "Il microscopio come il manganello" (Marcuse). Passaggi stupefacenti, lungo le words, words, words su arte e società. Gli accidenti inesplicabili, BAM. ("Lei è sano come un pesce!", cit.). Testate nucleari sempre attuali (tecnologia). [anche io preferisco un bicchierino] (Quindi l'atomica è un dono) "Fare il contrario di quello che vogliamo" (mariti), "ordine, disciplina...", "guerra definitiva, l'ultima che ci sarà". La stessa angoscia, causa medesimo immobilismo (intellettuale, emotivo, fisico). Seguiamo l'anziano sensibile e distratto protagonista. Se bastasse andare a letto con Maria...Difatti, dinanzi agli abissi ghiacciati, una virata socio-spirituale ("Non ci sono alternative"), politico-magica
Sì, ma quanto gas è rimasto?
Pellicola, più che stanca, allibita. Nella consueta e rigorosa pulizia del regista russo, con le sue carrellate sgomente, quello che sul piano politico (e la pellicola lo pone) sembra un passo indietro di vent'anni (già tra sconsolati). A parte il finale col bimbo dotto l'alberello (rami secchi eh), una pellicola desolata, rassegnata. Rimorso e rimpianto s'intrecciano in una dolorosa presa di coscienza della propria inerzia. Intellettuale immobilismo. Ma è troppo tardi. Non a caso, annacquata in alcol e pazzia, la reazione avviene (almeno), ma sterile e pericolosa.
Riflessione personali, ché privato rimane il trapasso tra opera e ricevente. Corre nella prima parte, più radicata, per poi darsi alla disperata mistica (zen), del protagonista, certo. Quindi grido crepuscolare che si fa silenzio senza speranza. I pazzi potrebbero anche essere i sani, ma non basterebbero.
(depa)

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