Abbiamo capito

In TV danno un film di Sam Mendes, dal cast stellare. So cosa mi aspetta, Hollywood nella sua versione più agghindata. Passo lento ammiccante, "Era mio padre" (t.o. "Road to Perdition"), del 2003, il secondo lungometraggio del regista di inglese, si struscia sull'appeal del primo. Scottandosi con un genere che devi saper girare (e riscrivere).
Basti vedere cosa mette in moto un film di Sam Mendes quanto a celebrazioni e premiazioni. Secondo me non c'è bisogno, né ragione di tanto rumore. L'estetismo del regista inglese lo conosciamo, sono noti i suoi esperti collaboratori (Conrad Hall alla fotografia, scomparso quell'anno e a cui la pellicola è dedica).
1931. Michael Sullivan, varie storie su di lui, "brava persona", "poco di buono". Tom Hanks, lì impalato. Daniel Craig, che poi è John Rooney. Ma è per Paul Newman che non esito. Per i fan del grande attore nato-il-26-gennaio, l'ultima sua interpretazione è un dovere.
"Sì, ma papà che lavoro fa?". Uomini d'onore, debiti e parole. Giochi di potere, giochi di lenti. "Vai dal metodista, non dall'altro prete". Chicago, schiere di grattacieli e uomini in completo (americani). "Almeno che non soffra" è il massimo dell'affetto. "Il ragazzo no", poi, è vero amore. Scatta l'inseguimento. Tra tanti bei cristiani, una calcolata quanto scontata vendetta.
Movimenti sinuosi della m.d.p., dialoghi imponderati nel rapido elegante gangster movie made in U.S.A. (coi mezzi). Quindi, scomodare Al Capone perdendo in drammaticità (Perdizione non esiste).
(depa)

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