Cenese

Ufficialmente tra gli autori nel nostro mirino, Tsai Ming-liang si accaparra la seconda proiezione settimanale della Valéry: con una pellicola estremamente delle sue, così indifferente e narcisa che stimola la chiacchiera cinematografica, mentre splendidi tableaux di non-vivants scorrono sontuosi 3x2. Disinteressati e offesi, noi tre con l'autore, beviamo tre vinesi alla salute del Cinema. Scritto e diretto nel 2013, "Stray dogs" inebetì pure i "veneziani" (Gran Premio della Giuria).
Squilibrato, tiratissimo come ai tempi di "W l'Amore" sulla disperata lacrimazione degli ultimi, lo sgomento immortalato in nature ormai morte. Paradosso e sarcasmo non sono della pellicola, ironia assente, ma della società (pubblicità). Più impalpabile del precedente, già nel titolo manca di creatività. L'intento di non arzigogolare su esistenze prive d'appigli e riferimenti, Cinema spartano dall'armatura finemente battuta, affida il proprio grido a nuvole vaganti ripetute, stazionamenti alienanti, kway spazzati dalla tempesta. Depressione immobile, la sfrontatezza autoriale gettata in faccia agli autori stessi (di qui la sterilità). Non perché non si possa, ma poiché non si perde in valore artistico, con quella leggerezza, del sé e dell'eteronomo, che possiedono i cineasti da Partenone. A cui Tsai, tra l'altro, appartiene.
(depa)

Nessun commento:

Posta un commento