Il filo dentro

Ieri sera, presso la sala Negri milanizzata, altra visione clou imbastita con coup riparatore. Avevamo già aperto, dodici anni fa, la porta di Éric Rohmer. Rimanendo sulla soglia, silenti e intimoriti. Tempi maturi per immergersi nella "disarmante semplicità" del regista francese. Celeberrimo, "Il raggio verde", è del 1986. Musica registica sul chiacchiericcio quotidiano, a doppio filo colle vibrazioni di una società oroscopica. Con profonda ironia. "Leone d'oro".
Una sorpresa unica, tutto in una sera: questo taglio che ipotizzo in sala abbia fatto scuola" (Hirokazu? Woody? Quentin?), questa immediatezza  distante da snobismi. "B&B", anni '80 con felpe gilet da vedere e rifoggiare. Suonatore dei sentimenti dei protagonisti, una corda lega m.d.p. e personaggi. Non teleselfie, nulla di rigido e tecnologico, ma vivido e simpatico (ipnotico dice Simone). "Son proprio borghesi", echeggia sopra Sant'Agostino. Eh già. Mica un tabù. Dopotutto, il pensiero dominante. In effetti, per alcuni sarà un "impietoso affresco borghese", con la nostra povera Delphine, bacco di legno come pochi, impossibilitata ad appigli e punti di riferimento. I risultati delle architetture industriali/turistiche, non rasserenano. Strutture enormi, catafalchi di cemento, spirito ed occhio fuggono alla ricerca di orizzonti più puliti.
Se il concept risente del tempo (e non può essere una colpa), senza età resta la maestria del regista aquitano nel misurare e abbracciare i sentimenti dei protagonisti.
(depa

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