Baby Love

Pochi Joseph Losey e sporadici. Grave. Ché il regista statunitense, manganellato dal maccartismo hollywoodiano, oltre che senza peli sulla lingua, è di quelli col pennello nella cinepresa. "Messaggero d'amore", Gran Prix a Cannes 1971, è una raffinata esplorazione puberale e sociale.
Julie Christie e Alan Bates. Screenplay by Hardol Pinter, l'altro motivo per cui spesso mi rivolgo a Losey, qui nell'affresco più pedagogico. "Il passato è un paese straniero". I primi amori un presente fraterno. Belladonna, bellissima sorella, primi sguardi, sogni. L'altezzosa eleganza di Losey affabula: Leo nel Norfolk a scottarsi. Nemmeno tredicenne, già messaggero apprezzato (fiducia e segreto).
Losey nell'attimo esatto della tua pubertà. Hughs sciacallo sfregiato (dai boeri, Edward Fox). L'ora del maleficio d'amore (1 e 2). Ipnotici match a cricket. Sonata per cupidi inesperti. "Non saperne niente".
"Passed the Rubicon", con pulizia chabroliana ("quelli erano i tempi"), l'innocenza scappa di bocca ("ma non va mai da lui la domenica"). Pur nelle tinte fosche, mai lo definirei un noir, piuttosto un intenso, sinuoso rosanero. "Non è mai colpa delle signore".
(depa)

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