Benvenuto a John Sturges (1910-1992). Il Cinerofum incontra il regista statunitense con appresso la sua bobina più celebre, "I magnifici sette", del 1960. Il western ben piantato negli schemi classici, e logori. A rivederlo oggi, questo rifacimento USA dei Samurai in egual numero, per il genere più in voga pare l'ultimo passo indietro.
Interpreti leggendari davvero a metterci il corpo (dove non c'è): Yul Brynner, un sigaro dietro l'altro, Steve McQueen, che non è quello che beve di più. Altro Einstein, Bern, della musica, Bernstein (Elmer), con un jingle orami depositato nei lobi. Piano, con un funerale d'indiano al KKK. Eroi dalla parte dei deboli. Harry, Brad Dexter, che "non ha mai capito un accidente". Il Britt di James Coburn, che "si batte con se stesso". Poi il disertore esaurito, "Señor", e il mezzo messicano-irlandese di Charles Bronson. Sette contro trenta, a metà del film la prima resa dei conti. Povera ciurma, umiliata e offesa. "Solo un pazzo commette lo stesso errore due volte". Ma Yul è il più pazzo (pure di Eli Wallach in persona), dritto come un fuso (zero chiacchiere).
Davvero mediocre, come il primo scontro in difesa del pueblo mexicano. Il consunto canovaccio della "banda a raccolta" non aiuta. "Ora siamo sette", a un terzo della pellicola. Dialoghi non all'altezza del titolo (i re magi, dai...; -"Che mi venga un coccolone", -"Ti è già venuto"). Qui e là davvero misero, retorico, buonista, a tratti contorto. I contadini perdono sempre.
Caro John, avrai modo di rifarti.
(depa)
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