Minimo dilabiale

"Egg". Di Semih Kaplanoğlu (passato alle bave). Alla voce (di che?) "Turkey", anno 2007, è presente questo regista "emergente", classe 1963, di Smirne. "Uovo" ("Yumurta"), primo capitolo della Trilogia di Yusuf, prodotto-scritto-e-diretto, gira attorno al lutto materno, per toccare tempo, distacco, frammentazione. Ritorno.
Ancora Anatolia, terra nota al regista della città della mirra. Tire. Spazi lunghi, corpi nella nebbia, non resta che andare. Di quà, di là (piotte, auto, bus). Inquadrature che fissano il tempo (negli occhi (...)). Incontro senza conseguenze. Sintassi essenziale, nelle parole all'osso tutto il sentire dei personaggi. Strabismo d'autore, un occhio a Bresson, un altro a De Oliveira (ma chissà dove altrove). Parlare coi fiori (Ayala), coi morti, sacrificare arieti. Tradizioni. Mestieri. Contraccolpi rurali, il mancato passaggio di testimone nelle comunità. Saggezze vecchie: "non devi smettere di fumare". Svenire sui prati, dinanzi a splendidi incubi. Sogni ad occhi aperti (Ayala): Kino delle perle steimbeckiane nelle scuole (lontanissimi dall'Ankara di Erdogan (assassino)). Le anime s'immergono in campi profondi. Cura dell'immagine, di tempo Kaplanoğlu se ne prende. Ayala è Saadet Aksoy (Instanbul 1983) Pacati bollori, il tratto è tenue attorno ai personaggi. Delicati, fragili come un uovo. Ma, per essere mangiate, le uova debbono essere rotte.
(depa)

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